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Zuckerberg, l’aborto e l’importanza della condivisione

Mr Facebook e la moglie hanno dichiarato al mondo di aver vissuto tre aborti, invitando a rompere il silenzio che spesso investe questo evento della vita.

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GRAVIDANZA E DINTORNI – Marck Zuckerberg e la moglie, Priscilla Chan, aspettano una bimba. Evviva! L’annuncio della gravidanza, però, è stato dolce-amaro, perché ha dato a Mr. Facebook l’opportunità di ricordare che non si tratta della prima, ma della quarta. “Stiamo provando da due anni ad avere un bambino e abbiamo vissuto tre aborti“, ha scritto in un post sul suo social network. Nella speranza – ha precisato – che la condivisione di questa esperienza possa infondere in altre coppie in difficoltà la stessa speranza che ora provano lui e Priscilla e “aiutarle a condividere le loro storie“. Zuckerberg, infatti, ha sottolineato quanto possa essere solitaria l’esperienza dell’aborto: “Sei così pieno di speranza quando sai che stai per avere un bambino. Cominci a immaginare come sarà e a costruire castelli in aria. Cominci a fare piani per il futuro e a un certo punto tutto questo svanisce ed è un’esperienza solitaria. Molte persone non parlano dei loro aborti, come se si sentissero in qualche modo difettose o colpevoli. E così ti trovi ad affrontare questo evento da solo, a lottare da solo”.

È  un racconto breve ma toccante, quello di Zuckerberg, che arriva a dar voce diretta ai risultati di un’indagine sulla percezione pubblica dell’aborto negli Stati Uniti condotta di recente da Zev Williams e colleghi, dell’Albert Einstein College of Medicine di New York. La ricerca (un’indagine online che ha coinvolto un migliaio di partecipanti) riguardava in particolare la diffusione di falsi miti sull’interruzione spontanea di gravidanza: in effetti, è emerso che molti partecipanti lo ritengono un evento raro (non lo è: il 15-20% delle gravidanze si interrompe da solo nelle prime settimane) e che singoli elementi dello stile di vita o singoli comportamenti (lo stress, il fatto di sollevare pesi) abbiano un ruolo determinante nel provocarlo. Senza tenere in considerazione che le cause principali sono invece di tipo genetico o medico. Una parte dell’inchiesta, però, riguardava sentimenti ed emozioni comuni tra le persone che hanno vissuto l’aborto: il 41% ha dichiarato di essersi sentito molto solo e per la maggior parte degli intervistati l’esperienza è stata straziante e paragonabile alla perdita di un bambino già nato. Molti, inoltre, hanno rimarcato che la condivisione dell’evento può aiutare ad attenuare i sentimenti negativi – tanto che Williams e colleghi hanno invitato anche personaggi famosi a rompere il silenzio su queste esperienze – e che il sostegno della comunità medica è fondamentale.

Marck Zuckerberg e la moglie sembrano aver colto appieno l’invito, sottolineando in modo indiretto anche l’importanza di strumenti online per creare comunità di condivisione: “Nel mondo aperto e connesso in cui viviamo oggi, discutere questi temi non crea più distanza, ma avvicina. Crea comprensione e tolleranza. E dà speranza”. Un’opinione condivisa anche da operatori del settore, a giudicare dal commento postato sulla pagina Facebook di Zuckerberg da Claudia Ravaldi, psichiatra psicoterapeuta, fondatrice e presidente dell’Associazione CiaoLapo onlus per la tutela della gravidanza e della salute perinatale: “Spero che possiate stringere la vostra bimba arcobaleno e vi ringrazio per aver condiviso la vostra storia, aiutando così a rompere il silenzio sulla perdita in gravidanza. E per l’esistenza di Facebook, uno strumento di grandissima utilità per il sostegno ai genitori dopo una perdita perinatale”.

Il tabù in effetti non riguarda solo l’aborto che avviene nelle prime settimane di gravidanza, ma anche la morte in utero, o perdita perinatale, quella che si verifica dopo le 20 settimane (o 24, o 28, a seconda dei sistemi di classificazione). Un evento che può avere ulteriori complicazioni dal punto di vista emotivo e psicologico: per esempio, “le mamme e i papà in queste situazioni spesso si sentono soli e abbandonati nella loro sofferenza, anche perché in molti casi si trovano a dover partorire circondati da persone che, diversamente da loro, stanno vivendo la gioia di una nascita sana e piena di vita” scrivono l’anestesista Mary DiMiceli e colleghi, della Vanderbilt University, in un articolo pubblicato su “Anesthesia&Analgesia”, con una serie di indicazioni utili per gli operatori sanitari per affrontare e gestire una perdita così traumatica (sia in caso di morte in utero, sia in caso di gravi anomalie fetali, incompatibili con la vita dopo la nascita). Anche per questi genitori, che spesso non riescono a vivere come vorrebbero il loro lutto, negato dalla società (e a volte dai familiari stessi), la condivisione è importantissima. Come raccontano le tante esperienze, strazianti, eppure delicate, composte e piene d’amore, riportate dal “New York Times” in una pagina dedicata.

Leggi anche: La placenta su chip

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Crediti immagine: Hernán Piñera, Flickr

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance