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Riso più sostenibile, grazie alla minor produzione di metano

Ridurre la produzione di gas metano delle risaie è una sfida importante. Modificando un singolo fattore trascrizionale è possibile ottenere piante ad alta produttività con emissioni sensibilmente ridotte

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RICERCA – Una strategia per ridurre le emissioni di metano delle coltivazioni di riso, questo l’obiettivo di un team di ricercatori di alcune Università cinesi, svedesi e statunitensi. Grazie alla modifica di un particolare fattore trascrizionale (SUSIBA2) si è riusciti a sopprimere parzialmente la metanogenesi nelle radici e i risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature.

Alla base dei problemi legati al riscaldamento globale vi sono le emissioni in atmosfera di metano (CH4), un gas che ha origine sia naturale, in zone umide e paludose, sia umana, attraverso l’attività mineraria, le discariche e la zootecnia. Una fonte a prima vista inaspettata, di queste emissioni sono però le risaie che attualmente sono responsabili del 17% delle emissioni a livello globale.

Il problema rischia di diventare ancora più serio, visto il continuo aumento della popolazione: secondo lo United States Department of Agriculture, infatti, è previsto nel biennio 2015/2016 un aumento della produzione di riso di circa 480 milioni di tonnellate (0,85%).

Da tempo si cercano soluzioni come l’utilizzo di nuove tecniche di coltivazione nelle risaie: svuotando le risaie durante la crescita delle piante, infatti, oltre a ridurre l’acqua utilizzata si crea un ambiente più ricco di ossigeno e quindi sfavorevole all’emissione di metano da parte dei batteri del suolo. Normalmente, infatti, la produzione di metano avviene a livello delle radici dove il rilascio di zuccheri, come quelli dell’amido, e altre sostanze nutritive, in un ambiente ricco d’acqua con poca presenza di ossigeno, come nelle risaie, rende l’ambiente adatto alla crescita di batteri metanogeni.

Tuttavia queste strategie non sembrano essere sufficienti e per questo motivo un settore importante di ricerca riguarda la messa in commercio di varietà più “sostenibili”, con minori emissioni.

Un team di ricercatori ha quindi cercato di aumentare l’amido dei chicchi, attraverso l’utilizzo di un solo fattore di trascrizione dell’orzo (SUSIBA2) che stimola la produzione di amido nella parte superiore della pianta. In questa zona il carbonio non è disponibile per i microrganismi del suolo e quindi non avviene la produzione di metano.

Nelle varietà con questo fattore trascrizionale, però, la ripartizione alterata dell’amido e una probabile riduzione degli essudati nelle radici sopprime la produzione di metano. Prove in campo sono state effettuate a Fozhou (Cina) nelle estati del 2012 e del 2013 con risultati incoraggianti: prima della fioritura il metano emesso in atmosfera era del 10% in meno rispetto alle normali varietà e 28 giorni dopo la fioritura arrivava quasi a zero, con emissioni pari solo allo 0.3% rispetto al controllo. Future ricerche serviranno a verificare gli eventuali effetti di questa nuova varietà sull’ecosistema.

@FedeBaglioni88

Leggi anche: Il riso di Fukushima ora è sicuro? Facciamo il punto

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Esteban Chiner, Flickr

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Federico Baglioni
Biotecnologo curioso, musicista e appassionato di divulgazione scientifica. Ho frequentato un Master di giornalismo scientifico a Roma e partecipato come animatore ai vari festival scientifici. Scrivo su testate come LeScienze, Wired e Today, ho fatto parte della redazione di RAI Nautilus e faccio divulgazione scientifica in scuole, Università, musei e attraverso il movimento culturale Italia Unita Per La Scienza, del quale sono fondatore e coordinatore. Mi trovate anche sul blog Ritagli di Scienza, Facebook e Twitter @FedeBaglioni88