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Troppi viaggi per lavoro e la salute ne risente

Uno stile di vita di ipermobilità viene visto dall'esterno come qualcosa di esclusivo, ma a lungo andare il corpo ne risente: il prezzo da pagare oltre al jet lag è lo stress, insieme a problemi di salute da non sottovalutare

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SCOPERTE – Vista su Facebook o tra le pagine patinate di un giornale, la vita di chi viaggia molto per lavoro sembra sempre qualcosa di invidiabile. Professionisti ben vestiti che aspettano di salire sulla prima classe di un treno, che prendono aerei per destinazioni affascinanti, che stringono rapporti sociali con nuovi conoscenti in giro per il mondo e, in pochi mesi, visitano più mete di quante una persona che viaggia moderatamente visiti in anni.

Secondo uno studio di due ricercatori, Scott Cohen e S. Gössling, rispettivamente dell’Università del Surrey e di quella di Lund (in Svezia) questo stile di vita all’apparenza invidiabile – che su Environment and Planning definiscono di hypermobility – è in realtà non solo fonte di soddisfazione e stimoli intellettuali, anche di grande stress, solitudine e problemi di salute.

“Un uomo in un abito pregiato, seduto su una poltrona di pelle reclinabile, il laptop aperto di fronte a lui e una hostess che gli serve uno scotch&soda. È l’immagine che molti di noi hanno del viaggio, in particolare di quello legato al lavoro, basata soprattutto su pubblicità televisive e riviste patinate. Ma c’è un lato oscuro in questo stile di vita così glamour, anche se media e società lo ignorano”, spiega Scott Cohen, primo autore della ricerca.

Questo lato oscuro, qualora lo stile di vita in iper-mobilità non sia limitato nel tempo ma una situazione consolidata e duratura, consiste in una serie di problemi di salute, come il noto jet-lag e la trombosi (la formazione di trombi nei vasi sanguigni che ostacolano la circolazione). Ma anche forte stress e solitudine legati, in parte ma non solo, alla distanza dalla propria comunità e dalle relazioni familiari.

Problemi sottovalutati, che passano in secondo piano mentre chi conduce questo stile di vita è solitamente considerato come una persona di status sociale più elevato. Sostanzialmente il discorso sta sempre nella moderazione, nel non tirar troppo la corda continuando a spostarsi quando il nostro corpo suggerisce di fare una pausa, riprendere ritmi normali, stare fermi per qualche tempo.

“Il livello di stress fisiologico, fisico e sociale legato al viaggiare così di frequente aumenta il rischio di effetti negativi seri e a lungo termine, che vanno dalla rottura dei legami familiari”, che ovviamente risentono della distanza, “fino a cambiamenti a livello genetico quando lo stile di vita hypermobile ci porta anche a dormire troppo poco”, spiega Cohen. “Non sono solo i media tradizionale a perpetrare l’immagine di uno stile di vita privilegiato. I social media incoraggiano la competizione tra viaggiatori, facendo check-in e condividendo contenuti dalle destinazioni più remote”.

@Eleonoraseeing

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Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".