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Il clima cambia e soffia sul fuoco

Si allunga la stagione degli incendi in diverse aree del pianeta, anche per colpa del cambiamento climatico

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AMBIENTE – Mentre in Italia si contano i danni delle devastanti alluvioni di agosto, in Nord America si continua a combattere per spegnere gli incendi che da fine luglio hanno già bruciato più di 20 000 ettari di territorio Californiano. Rocky Fire non è un fuoco isolato, e l’allarme incendi è un refrain estivo che non conosce tregua soprattutto negli USA, in Sud Africa, in Australia, paesi ormai abituati a vedere crescere il record di anno in anno.

A cosa è dovuta questa continua escalation di incendi? Continua a farsi strada l’ipotesi che ci sia, prepotente, anche lo zampino del cambiamento climatico.

Le temperature aumentano, la stagione degli incendi si allunga

Uno degli ultimi contributi in questo senso arriva da uno studio condotto dallo US Forest Service, l’Università del South Dakota, il Desert Research Institute e l’Università di Tasmania in Australia, recentemente pubblicato su Nature Communication.

Lo studio trova una correlazione tra specifiche condizioni ambientali estreme e anomale (temperature in aumento, siccità, circolazione dei venti) e un incremento sempre più veloce del rischio d’incendio, fenomeno che ha iniziato a interessare regioni prima sicure da questo punto di vista.

Gli autori hanno consultato tre fonti diverse di dati, raccolti dall’NCPE (National Center for Environmental Prediction), l’NCPE-DOE e l’ECMWF (European Center for Medium-Range Weather Forecast), relativi a circa 35 anni, dal 1979 al 2013, ottenendo una stima della durata della stagione degli incendi e delle aree geografiche più colpite.
Il bilancio del rischio è in peggioramento, appunto: la stagione si è allungata del 18,7% per il 25% di territorio coperto da vegetazione su scala planetaria. Il picco di salita dei numeri del rischio è particolarmente evidente nella seconda metà dell’intervallo temporale dello studio (1996-2013).

Ci sono diversi motivi per essere preoccupati, perché gli effetti di questo scenario interessano non solo l’ecosistema del pianeta, ma anche il nostro equilibrio socio-economico. Si tratta, inoltre, di uno scenario che seguirà probabilmente questo andamento nei prossimi anni, e non è un caso che l’accelerazione sia stata registrata negli ultimi 10-15 anni.

Per comprendere le dinamiche degli incendi, si possono tenere sott’occhio tre principali fattori chiave scatenanti: materiali combustibili, presenza di fonti di combustione, clima. Quest’ultimo è indubbiamente il più imprevedibile, tuttavia gli autori hanno registrato un costante aumento di condizioni climatiche tipiche e ideali per l’espansione del fuoco, ovvero temperature bollenti, bassi livelli di umidità, aumento dei giorni rain free (cioè senza precipitazioni) e aumento della velocità dei venti .

Più nel dettaglio, l’andamento dell’aumento è particolarmente evidente se si scende a livello regionale. È in Nord America che si registra la correlazione più forte tra lunghezza della stagione degli incendi e la superficie bruciata per singolo anno. Seguono le regioni mediterranee con Spagna, Portogallo, Francia, Italia, Grecia.

Altro elemento critico è la quantità di CO2 liberata in atmosfera, che va ad alterare il budget globale di carbonio e accelera gli effetti del cambiamento climatico. In questo caso, le regioni più sensibili sono le foreste tropicali e subtropicali, le praterie e le savane del Sud America. Secondo lo studio, questi fenomeni sono anche, allo stesso tempo, causa ed effetto del riscaldamento globale, ed è  sufficiente forse rimanere nelle zone più sotto i riflettori del Nord America per rendersene conto. Andiamo a vedere cosa succede per esempio in Alaska.

Il Nord America Brucia

L’Alaska è uno dei territori più a rischio, già da tempo un sorvegliato speciale, insieme alla California. Quest’anno, il primo record negativo per le temperature è arrivato a maggio, e nel frattempo l’estate 2015 è già entrata nella classifica delle più distruttive.
Secondo un rapporto stilato da Climate Central, se guardiamo agli ultimi 60 anni, in Alaska il numero di incendi è cresciuto esponenzialmente fino a raddoppiare nel solo periodo 90-2010, con un allungamento dell’area bruciata e della stagione-incendi del 40%. Se guardiamo ancora più indietro, è abbastanza chiaro che il limite di un regime naturale e sostenibile di ignizione è stato superato da un pezzo.

Perché l’Alaska preoccupa particolarmente? I numeri di questi rapporti sono impressionanti, certo, ma, c’è inoltre da considerare che in questo caso l’ecosistema minacciato può complicare maggiormente e più velocemente la macchina del riscaldamento globale. L’aumento di temperatura e focolai sempre più difficili da domare possano infatti accelerare lo scioglimento del permafrost, uno dei più grandi container naturali di CO2 del Pianeta, pari a circa l’80% del territorio. Liberare in questo modo il gas serra significherebbe accelerare ulteriormente il cambiamento climatico, una specie di catastrofico loop.

Non si tratta di un allarme inedito, soprattutto in Nord America. Prima di questo lavoro, diversi studi avevano già passato in rassegna lo storico degli ultimi decenni in fatto di eventi estremi e dati climatici. Risale al 2006, per esempio, un rapporto dell’Università dell’Arizona secondo cui dalla metà degli anni 80 gli incendi boschivi nel Nord America sono aumentati in maniera anomala e sproporzionata. Nello stesso anno, l’Università della California individuava sempre a metà degli anni Ottanta del secolo scorso il punto critico di espansione di questi fenomeni, prendendo in considerazione i soli Stati Uniti occidentali.

Nel 2009, nell’ambito del progetto europeo Pattern Resilience, un gruppo di ricercatori tedeschi e statunitensi ha studiato l’impatto degli incendi canadesi sugli ecosistemi forestali boreali, individuano però anche una relazione col cambiamento climatico: gli incendi canadesi, dice lo studio, si avvicinano a un valore limite previsto da un modello che descrive il fenomeno come un processo stocastico di nascita e morte – un po’ come avviene per la diffusione delle epidemie.

Più di recente, una ricerca della Oregon State University ha analizzato la siccità Californiana, e le conclusioni su cause ed effetti descrivono uno scenario analogo. In definitiva, circa trent’anni fa, ovvero quando i segni del riscaldamento globale hanno iniziato a farsi più evidenti, molti ambienti ed ecosistemi sono diventati pericolosamente adatti ad alimentare e diffondere le fiamme.

Quest’ultimo lavoro del gruppo di ricerca guidato da Matt Jolly offre però dati più esaustivi, soprattutto per la copertura geografica, e un quadro più completo della situazione.

È stato (anche) il cambiamento climatico

C’è ormai consapevolezza diffusa degli effetti del riscaldamento globale, a partire dal Presidente Obama. Sarebbe però forse più utile non addossare tutta la colpa al cambiamento climatico, mentre ai fini della prevenzione potrebbe essere più responsabile capire quanto contribuiscono gli altri fattori in gioco. È quanto sostiene Bill Patzert, climatologo dei Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, in California (lo stesso Patzer, già pochi anni fa insisteva che per quanto riguarda la costa occidentale degli USA, l’equazione giusta è Fire=People)

Insomma, alcuni territori sono diventati più fragili di altri per via del clima che cambia, come dimostra questo studio, ma in California, così come in Alaska, il riscaldamento globale rischia di diventare un nuovo capro espiatorio dietro cui si nasconde una gestione poco attenta delle foreste, del rischio e degli interventi di soccorso.

“È colpa del cambiamento climatico” diventa così il candidato nuovo refrain delle estati infuocate, mentre sono gli esseri umani, molto spesso, a far scoccare la scintilla iniziale.
Si tratta invece di una concomitanza di fattori, nessuno dei quali può essere sottovalutato, anche perché la conta dei danni, prevede pesanti perdite economiche, oltre che ambientali.

L’allarme incendi è costato finora, solo per gli Stati Uniti e solo nell’ultimo decennio, 1,7 miliardi di dollari. Secondo Climate Desk, le spese annue per combattere gli incendi sono di gran lunga fuori bilancio rispetto a quanto speso per prevenirli, e a un aumento dei fuochi dello 0,5% corrisponde un 30% di costi in eccesso.

@nighttripping

Leggi anche: Si possono prevedere gli incendi?

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Andrea Booher, FEMA

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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.