GRAVIDANZA E DINTORNIIN EVIDENZA

Allattamento: i prodotti per aumentare il latte servono davvero?

Molte mamme che allattano assumono tisane o integratori sperando che aiutino a sostenere (o incrementare) la produzione di latte. Ecco cosa ne dice la scienza

I prodotti per aumentare il latte servono
Molte neomamme subiscono forti pressioni riguardo all’allattamento, il che le porta a cercare prodotti e farmaci per aumentare la produzione del latte. Ma funzionano davvero e, soprattutto, sono sicuri?

GRAVIDANZA E DINTORNI – “Aiuto, ho poco latte”. Nella variante: “Il mio latte non basta”. Per le neo-mamme alle prese con l’allattamento al seno, una delle preoccupazioni peggiori è proprio questa: che il loro latte sia insufficiente a nutrire il piccolo.

Spesso è proprio la convinzione di produrre poco latte a spingere le mamme – magari anche poco sostenute in famiglia (“ma cresce? Sei sicura? Ma non vedi che piange sempre?”) – ad abbandonare l’allattamento al seno. Per rimediare al problema, reale o immaginario che sia, molte donne si rivolgono al medico, al farmacista o all’erborista, alla ricerca di prodotti con effetto galattogogo. Ovvero in grado di dare una mano nella produzione di latte. E il mercato risponde, affollandosi di tisane e integratori fatti apposta per favorirne “la fisiologica produzione”o la “secrezione.

Finocchio, galega, cardo mariano, anice, fieno greco i nomi più ricorrenti in questo settore. Ma cosa sappiamo della loro reale efficacia e sicurezza? I prodotti per aumentare il latte funzionano?

I prodotti per aumentare il latte funzionano? Vediamo gli studi

A dire il vero non sappiamo molto, perché gli studi a disposizione sull’argomento sono pochi. Anzi, il problema riguarda anche i farmaci generalmente indicati per le donne che hanno oggettivi problemi nella produzione di latte. Spesso si tratta di mamme con neonati prematuri, che utilizzano tiralatte o spremiture manuali del seno perché non possono allattare direttamente i loro bimbi.

Queste mamme si trovano in difficoltà anche dopo aver messo in atto tutte le possibili strategie non farmacologiche di sostegno all’allattamento. In questi casi, si può ricorrere a farmaci, in particolare domperidone e metoclopramide: antivomito che agiscono come antagonisti del neurotrasmettitore dopamina, a sua volta coinvolto nella regolazione dei livelli di prolattina, il principale ormone della lattazione.

I dati più consistenti e coerenti tra loro riguardano il domperidone e vengono da una manciata di studi che hanno coinvolto meno di 150 donne, in maggioranza mamme di prematuri o che avevano partorito a termine con taglio cesareo. Gli studi indicano una reale efficacia del farmaco come galattogogo, almeno per queste categorie di donne, ma l’invito generale è alla cautela.

Le linee guida su farmaci e prodotti cosiddetti “naturali”

L’americana Academy of Breastfeeding Medicine, per esempio, conclude che “al momento non è in grado di consigliare alcun galattogogo specifico”, che si tratti di farmaco (domperidone compreso), di agente fitoterapico o di prodotto d’erboristeria.

Più possibilista l’UK Medicine Information, un ramo del National Health Service inglese che si occupa di fornire agli operatori sanitari informazioni evidence-based sui farmaci. In un documento dell’ottobre 2014, il servizio indica il domperidone come farmaco di prima scelta per i casi reali di insufficiente produzione di latte (e solo se altri approcci non hanno funzionato). Ma sottolinea che “servono ulteriori studi per determinare il dosaggio e la durata di trattamenti ottimali”. Meno certezze, invece, per la metoclopramide, considerato che gli studi – di nuovo, pochi – danno risultati contrastanti.

Se questo è il quadro per i farmaci, ancora più nebuloso è quello per i prodotti di uso comune, cosiddetti “naturali”. Ovvero tisane o capsule d’erboristeria o integratori alimentari. A volte consigliati da medici e ostetriche, altre volte assunti in modalità fai da te, magari dietro indicazione di un’amica. Capita a molte: un momento di stanchezza, il bambino che piange, la sensazione che il latte non basti più. E allora via con tisane di semi di finocchio o di anice oppure integratori a base di fieno greco, galega o cardo mariano. Ma questi prodotti per aumentare il latte funzionano davvero?

In un convegno su allattamento e farmaci tenutosi di recente a Milano, Franca Davanzo, direttore del Centro antiveleni dell’ospedale Niguarda di Milano l’ha detto chiaro e tondo: “Le prove scientifiche sull’efficacia di questi presunti galattogoghi sono molto limitate”.

E se funziona, come funziona?

Esattamente quanto dichiarato anche dall’Academy of Breastfeeding Medicine: “I meccanismi d’azione dei prodotti a base di erbe sono sconosciuti e nella maggior parte dei casi questi prodotti non sono mai stati valutati dal punto di vista scientifico”. Quando ci sono, gli studi riguardano campioni molto piccoli, non sono accurati nella scelta dei controlli o degli obiettivi, spesso sono condotti o sponsorizzati da ditte produttrici. Eppure – prosegue l’ABM – “l’uso tradizionale di alcune erbe suggerisce che potrebbero avere una certa efficacia”. Dunque colpo di scena? Non proprio.

“Se per generazioni viene tramandato il suggerimento di utilizzare una certa pianta per un certo effetto, è ragionevole pensare che possa servire a qualcosa, ma questo non basta” commenta  Alfredo Vannacci, ricercatore in farmacologia all’Università di Firenze ed esperto di fitoterapia e fitovigilanza.

“Un conto sono la tradizione e l’aneddotica, un altro i risultati di studi clinici ben fatti. Io devo poter dire che una certa erba o principio vegetale funziona – e in quali condizioni e a quali dosaggi – non perché una mia paziente l’ha provato e si è trovata bene (e può anche succedere), ma perché ci sono trial clinici indipendenti e rigorosi che lo attestano”. Proprio quelli che mancano al momento per qualunque galattogogo di origine vegetale.

È vero: spesso le donne che li utilizzano si dichiarano soddisfatte, ma potrebbero esserci in ballo l’effetto placebo e la rassicurazione psicologica. Condizioni che alcuni vedono positivamente (se una tisana o un integratore aiutano la mamma sentirsi più sicura, facilitando l’allattamento, perché no?) e altri negativamente. Di fatto, questi meccanismi darebbero ragione all’insicurezza della donna, convincendola che da sola non ce la può fare.

Resta il fatto che se una mamma beve tisane o assume integratori convinta che servano davvero, è giusto che sappia che almeno per il momento certezze non ce ne sono. E che invece potrebbero esserci problemi di sicurezza. “C’è l’idea che vegetale coincida con innocuo, ma non è così. I principi attivi delle piante possono avere effetti collaterali importanti, e attraverso il latte materno possono arrivare al bambino” avverte Vannacci.

La questione non si pone tanto per gli integratori o le tisane che si trovano in vendita nei canali ufficiali e che sono registrati presso il Ministero della salute, sempre che se ne faccia un uso sensato. “Una o due tazze al giorno di una tisana per esempio al finocchio forse servono a poco, ma di sicuro non fanno male. Il discorso però cambia se se ne bevono due o tre litri” chiarisce l’esperto.

Anche in questo caso il fai-da-te è da evitare

Il rischio aumenta in caso di produzioni fai da te. “Può capitare con donne di altre etnie o con appassionate del mondo new age, che magari preparano in casa tisane o decotti, con erbe raccolte nei campi” racconta Vannacci. “In questo caso è impossibile sapere quanto principio attivo finisce nella tazza e, dunque, nella pancia del bambino: possono anche essere quantità elevate, in grado di provocare problemi”.

Che consigli dare, allora, alle donne che hanno (o pensano di avere) poco latte per il loro bambino? “La prima cosa da sapere è che solo pochissime mamme – l’1-2% del totale – non possono allattare per problemi anatomici” dichiara la neonatologa Maria Enrica Bettinelli, responsabile del settore materno infantile dell’Asl di Milano e consulente professionale in allattamento materno IBCLC.

È vero però che il latte può non “arrivare” nelle giuste quantità o diminuire fino a scomparire se l’allattamento non viene avviato e mantenuto nel modo corretto. “La produzione di latte è un fenomeno fisiologico complesso, nel quale entrano in gioco non solo stimoli ormonali, ma anche meccanismi locali legati alla domanda da parte del bambino” spiega Bettinelli. In pratica, il latte viene prodotto on demand, quando il bambino si attacca e succhia.

“Meno lo fa, meno latte si produce” chiarisce l’esperta. Non solo: se il bambino “salta” delle poppate, il poco latte che c’è si accumula, mandando al corpo della mamma il segnale che non ne serve altro, con ulteriore inibizione della sua produzione.

Da qui l’insistenza degli esperti sull’allattamento a richiesta, cioè ogni volta che il bambino lo chiede – nel caso dei neonati questo può succedere molto spesso, anche 8-12 volte al giorno – e non a orari prestabiliti. E sull’importanza di un “attacco” corretto del piccolo al seno. Con la bocca aperta, in grado di prendere non solo il capezzolo ma anche buona parte dell’areola, e con il mento a contatto con la mammella.

“Un buon attacco garantisce che il bambino succhi quantità adeguate di latte e riduce il rischio di problemi alla mammella, come le ragadi” precisa Bettinelli. Il momento migliore per ottenere un attacco corretto? “Quello in cui il piccolo comincia a mostrare i primi segni di fame – apre la bocca, gira la testa di lato, si porta le mani alla bocca – ma non è ancora disperato”.

Per i primi mesi l’invito è anche a evitare aggiunte di acqua o altri liquidi come la camomilla: neonati e lattanti non hanno bisogno di bere e queste abitudine interferiscono con il meccanismo di produzione del latte.

Sembrano indicazioni facili, ma non è detto che tutto fili liscio. Molte mamme sperimentano l’ansia di non farcela e a volte il problema è reale. I segnali che c’è qualcosa che non va sono chiari e precisi: il bambino produce poca urina o poche feci, non cresce proprio o addirittura cala di peso (i dettagli si possono leggere nel dossier Allattamento al seno: tra arte, scienza e natura, del Ministero della salute).

In questi casi, prima di andare nel panico e magari assumere prodotti a caso, meglio consultarsi con personale esperto in allattamento. Ci si può rivolgere al consultorio, oppure alla Leche League o ai consulenti professionali IBCLC (in questi casi la consulenza può essere a pagamento).

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Credit immagine: David Leo Veksler / Flickr

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance