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Cosa fa un data analyst?

Claudio Sartori, direttore del master in Data Science della Bologna Business School, ci racconta una nuova professione

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APPROFONDIMENTO – L’economista Hal Ronald Varian l’ha definito senza mezzi termini “il lavoro più sexy del ventunesimo secolo” e, nonostante la grande richiesta arrivi soprattutto dagli Usa, su Linkedin ogni giorno ci sono centinaia di offerte di lavoro anche in Italia. Di che cosa si occupa di preciso un data analyst?

Lo abbiamo chiesto a Claudio Sartori, professore al Dipartimento di Informatica all’Università di Bologna e direttore del master in Data Science della Bologna Business School, durante Big Data Tech. L’evento sui big data, organizzato dall’omonima società del settore, si è svolto pochi giorni fa a Firenze con l’obiettivo di approfondire l’utilizzo dei dati da parte del mondo delle aziende.

Grazie all’uso sempre più intensivo che facciamo dei nostri dispositivi elettronici generiamo ogni giorno enormi quantità di dati. Questo succede sia con le app dello smartphone che con altri piccoli dispositivi connessi alla rete, come per esempio gli apparecchi che monitorano il battito cardiaco mentre facciamo sport. In modo più o meno consapevole mettiamo in rete una serie di informazioni che potrebbero essere utilizzate per condurre ricerche di ogni genere e che fino a pochi anni fa erano inimmaginabili per l’impossibilità di reperire informazioni.

La sfida adesso è capire come utilizzare tutti questi numeri, e non sono solo gli istituti e i laboratori di ricerca a raccoglierla, ma anche le aziende, che guardano sempre con più interesse alle possibili applicazioni dei big data nel mondo del business e cercano figure professionali in grado di rispondere a questa richiesta.

“Non c’è ancora uno strumento automatico in grado di estrarre conoscenza dai dati…e direi per fortuna”, sorride Sartori. Sartori fa il ricercatore in ambito informatico dal 1983 e ha visto il panorama tecnologico cambiare profondamente. All’inizio si occupava di basi di dati e poi ha iniziato a “scavare nei dati” con il data mining, la disciplina che cerca di estrarre significato dai dati. È grazie a tecniche di data mining sempre più avanzate che, per esempio, un sito di commercio online ci propone il prossimo acquisto sulla base del nostro profilo e di quello che abbiamo comprato in precedenza.

Oggi grazie alle tecniche di estrazione dei dati è possibile fare analisi praticamente su ogni aspetto della società e della vita delle persone, dall’analisi del traffico veicolare alle classifiche delle canzoni più amate della storia. I big data possono persino aiutare nella salvaguardia della biodiversità delle aree protette (ne avevamo già parlato qui). Si tratta di una grande occasione per le aziende, che possono trarre informazioni utili per orientare la produzione dei nuovi prodotti, oltre alla pubblicità. Per questo figure specializzate in grado di trasformare lunghissime sequenze di dati in informazioni sono sempre più richieste, oltre che ben pagate (al decimo posto nel 2014 tra le professioni che percepiscono un salario più elevato secondo la Us News and World Report).

Come si entra in questo mondo? “Per diventare data scientist le prime doti necessarie sono la curiosità e la voglia di imparare – prosegue. E un interesse per il ragionamento matematico e statistico, oltre a competenze nel settore specifico in cui si vanno a fare e analisi. Occorre un’elevata professionalità per far parlare i dati”. A questa professione si possono approcciare persone provenienti anche da percorsi di formazione molto diversi, come matematici, economisti o umanisti.

In Italia si sta ampliando sempre di più l’offerta formativa per i futuri scienziati dei dati. Oltre al neonato master bolognese in data science diretto da Sartori, a Pisa sta per partire il secondo anno del master in big analytics e social mining. Dino Pedreschi, direttore del master toscano, tiene a ricordare che un buon scienziato dei dati non si limita a raccogliere e analizzare i dati, ma riesce a dare un significato a tutta la sua ricerca e a trasformare i risultati in una storia. Per questo nel master della città della torre ci saranno anche corsi di storytelling tenuti da giornalisti, in modo da costruire una professionalità il più completa possibile. “Un altro aspetto cruciale che affronteremo – racconta Pedreschi – è quello etico. Non dobbiamo per forza associare l’analisi dati a multinazionali che utilizzano le nostre informazioni per fini commerciali. I cittadini possono condividere le loro tracce digitali anche per fini socialmente utili, come il miglioramento delle loro condizioni di salute o dei servizi della propria città”.

Leggi anche: I big data della biodiversità a servizio delle aree protette

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Marc Smith, Flickr

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Viola Bachini
Mi occupo di comunicazione della scienza e della tecnologia. Scrivo su giornali e riviste, collaboro con case editrici di libri scolastici e con istituti di ricerca per la comunicazione dei risultati al grande pubblico. Ho fatto parte del team che ha realizzato il documentario "Demal Te Niew", finanziato da un grant dello European Journalism Centre e pubblicato in italiano sull'Espresso (2016) e in spagnolo su El Pais (2017). Sono autrice del libro "Fake people - Storie di social bot e bugiardi digitali" (Codice - 2020).