RICERCANDO ALL'ESTERO

Studiare una malattia genetica rara: l’esostosi multipla ereditaria

Trasformare le scoperte scientifiche fatte in laboratorio in applicazioni pratiche è alla base della ricerca traslazionale. In campo oncologico, questo significa cercare di sviluppare una terapia per tutti quei tumori ancora incurabili come l’esostosi multipla.

RICERCANDO ALL’ESTERO – “La ricerca traslazionale è molto applicativa, la distanza tra quello che faccio io e la clinica è breve. Ogni volta che scopriamo un meccanismo o una nuova molecola aggiungiamo un pezzo alla storia di una malattia: come si sviluppa, come si manifesta o come si cura. Con questa ricerca c’è la possibilità di avere un impatto concreto sulla società, perché se questi studi riescono, posso veramente aiutare i pazienti”.

foto ricercandoNome: Federica Sgariglia
Età:
33 anni
Nata a: San Benedetto del Tronto (AP)
Vivo a: Filadelfia (Stati Uniti)
Dottorato in: Genetica medica (La Sapienza, Roma)
Ricerca: Terapie per l’esostosi multipla.
Istituto: Children’s Hospital
Interessi: fare yoga, viaggiare, cucinare, andare al cinema.
Di Filadelfia mi piace: si può andare in giro a piedi e in bici.
Di Filadelfia non mi piace: d’inverno fa freddo, nevica tanto, non ci sono le montagne.
Pensiero: Failure is not an option (Apollo 13).

Che tipo di disturbo è l’esostosi multipla?
È una malattia genetica rara che colpisce le ossa e la cartilagine. È presente sin dalla nascita e i bambini che ne sono affetti sviluppano tumori benigni a carico delle ossa lunghe e delle articolazioni. Si tratta di vere e proprie protuberanze, chiamate appunto esostosi, che possono variare per numero e quantità. I casi in cui questi tumori diventano maligni sono rarissimi quindi di fatto non è una malattia letale ma compromette lo sviluppo dello scheletro e condiziona la qualità di vita del paziente. Dato che queste deformazioni ossee sono visibili e dolorose, le attività quotidiane e il benessere sociale e psicologico dei bambini e delle loro famiglie vengono fortemente influenzati.

Come viene diagnosticata e quali sono le terapie in uso?
La diagnosi di solito arriva un po’ tardi, l’età media è di circa 3 anni ma si può arrivare fino ai 12. In pratica avviene quando il tessuto tumorale cresce abbastanza da essere visibile a una semplice analisi clinica. Pensiamo comunque che il difetto nella regolazione inizi già in età embrionale, ma dal punto di vista molecolare sappiamo ancora molto poco. C’è un gruppo di ricercatori con cui collaboriamo che si occupa proprio di capire cosa succede nelle prime fasi della malattia.

A livello di terapia, invece, non c’è una cura definitiva, l’unico trattamento è la rimozione chirurgica dei vari tumori, cosa che sottopone i pazienti a frequenti ricoveri ospedalieri. Non senza rischi perché togliere le esostosi non sempre è un intervento semplice e a volte c’è il pericolo di danneggiare il tessuto sano e compromettere comunque lo sviluppo scheletrico.

Da cosa è causata questa malattia?
Essendo una malattia genetica, il danno si trova nel DNA, in particolare a livello di due sequenze chiamate EXT1 e EXT2. Questi geni codificano per enzimi coinvolti nella sintesi dell’eparansolfato, un polisaccaride presente nella matrice extracellulare, cioè quella sostanza in cui sono immerse le cellule. L’eparansolfato interagisce con una grande varietà di molecole e svolge diverse funzioni nei rapporti cellula-cellula e cellula-matrice. Inoltre, regola tutta una serie di attività biologiche, sia normali sia patologiche, come la morfogenesi, la riparazione dei tessuti, l’infiammazione, la vascolarizzazione e la metastasi del cancro.

Sappiamo che mutazioni nei geni EXT1 e EXT2 sono associate allo sviluppo dell’esostosi multipla ereditaria ma tra queste due informazioni c’è ancora un buco nero, nel senso che ancora non è chiaro il meccanismo di crescita del tumore. Una linea di ricerca del mio laboratorio è proprio indirizzata alla comprensione dei meccanismi coinvolti nella carcinogenesi.

L’eparansolfato ha diversi siti di legame per fattori di crescita e abbiamo visto che la mutazione a carico di EXT1 e EXT2 porta a un’alterazione nel numero e nella distribuzione di alcuni tra questi fattori di crescita. In tal modo alle cellule arrivano tipi e quantità di fattori di crescita diversi dal normale e ciò compromette tutto il meccanismo di comunicazione cellulare. In particolare, pensiamo che in alcune aree ne arrivino troppi, da cui la nascita delle protuberanze, mentre in altre troppo pochi, da cui l’arresto nello sviluppo scheletrico. Voglio specificare che l’esostosi multipla viene trasmessa per via autosomica dominante, ciò vuol dire che basta una singola copia del gene mutato per avere la malattia. Non ci sono portatori sani.

È possibile usare EXT1 o EXT2 come bersagli terapeutici?
Sì, potrebbe essere uno degli approcci per combattere questo disordine. Per quanto riguarda le strategie, possiamo pensare di colpire la malattia sia a livello dell’effetto che della causa. Nel primo caso si tratta di agire sul tumore in sé e quindi di utilizzare come bersaglio molecole che già conosciamo e che sappiamo essere cruciali nella trasformazione delle cellule da normali a malate. Nel secondo caso, si può agire sia direttamente su EXT1 o EXT2 sia cercare di stimolare meccanismi alternativi che in qualche modo influiscono sulla sintesi dell’eparansolfato.

La mia ricerca consiste nel testare diverse molecole ad azione antitumorale e di verificare sia in modelli cellulari che animali il loro effetto sulle esostosi. Chiaramente non è detto che il loro meccanismo d’azione coinvolga proprio i geni EXT ma potrebbero comunque avere successo nel risolvere il problema, magari in modo indiretto. Un mio collega invece si occupa più specificamente di drug discovery, cioè della scoperta di nuove sostanze ad azione farmacologica. In questo caso, il suo obiettivo è individuare molecole che aumentano la sintesi di eparansolfato.

Hai nominato la ricerca traslazionale, di cosa si tratta?
In ricerca biomedica è diventata una parola molto popolare ed essendo un concetto relativamente nuovo esistono molte definizioni e molta confusione al riguardo. Sostanzialmente è l’applicazione della ricerca di base per lo sviluppo di nuove terapie o, in generale, per il miglioramento della qualità di vita. Questa idea è di solito riassunta dalla frase “dal bancone del laboratorio al letto del paziente” (from bench-to-bedside) perché in pratica la ricerca traslazionale ha lo scopo di “tradurre” le conoscenze esistenti in biologia in tecniche e strumenti per il trattamento di malattie umane.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Continuare a testare piccole molecole ad azione antitumorale: se riuscissimo a trovarne anche solo una che funziona, potremmo sviluppare una potenziale terapia per l’esostosi multipla, che come abbiamo detto è attualmente incurabile. Abbiamo già individuato alcuni possibili meccanismi molecolari che non funzionano correttamente in caso di malattia e il nostro obiettivo è cercare di ristabilirli proprio con la somministrazione di potenziali farmaci. L’idea non è solo quella di contenere lo sviluppo del tumore, ma di cercare di prevenirlo.

Leggi anche: Così il tumore cresce grazie alle cellule sane

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Federica Sgariglia

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.