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Nuvole in un clima che cambia

I modelli usati per descrivere i cambiamenti climatici hanno un margine di incertezza dovuto alla risposta delle nuvole al riscaldamento globale. Oggi ne parliamo con chi le studia

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RICERCANDO ALL’ESTERO – “Quando si studia il clima si ha a che fare con cose che si possono vedere: gli oceani, la pioggia, la neve, le nuvole. È un campo in cui c’è ancora molto da fare, ci sono tantissimi meccanismi ancora da scoprire e ogni giorno si possono imparare cose nuove sull’atmosfera, su come funziona il meteo o come cambierà il clima. Ogni scoperta, anche piccola, può aiutare i ricercatori che si occupano di previsioni climatiche a fornire informazioni più affidabili”.

Nome: Sara Dal Gesso
Età:
30 anni
Nato a: Camposampiero (PD)
Vivo a: Bonn (Germania)
Dottorato in: Fisica dell’atmosfera (Utrecht, Paesi Bassi)
Ricerca: La risposta delle nuvole in bassa atmosfera al riscaldamento globale.
Istituto: Koninklijk Nederlands Meteorologisch Instituut, Delft University of Technology
Interessi: leggere, cucire, ballare la salsa.
Di Bonn mi piace: le colline.
Di Bonn non mi piace: le cose funzionano bene tanto quanto in Italia ma tutti ti dicono «eh, là sì che le cose funzionano».
Pensiero: E ora viaggi, ridi e vivi o sei perduta (De Andrè).

Se guardiamo il cielo, quali sono le nuvole in bassa atmosfera?
Sono quelle nuvole che si formano nel cosiddetto strato limite atmosferico, cioè quella regione di atmosfera vicino alla superficie terrestre. Qui le nuvole sono fondamentalmente di due tipi: gli stratocumuli e i cumuli. Gli stratocumuli formano quello che chiamiamo brutto tempo, quando il cielo è coperto in sostanza, e sono nubi uniformi, generalmente scure, di colore grigio. I cumuli sono il cielo a pecorelle, nubi a sviluppo verticale, non uniformi e di colore bianco.

Le nuvole in bassa atmosfera sono importanti perché rappresentano una specie di ombrello per la Terra in quanto riflettono la radiazione solare e impediscono ai raggi di raggiungere la superficie terrestre. Ciò significa che hanno un effetto di raffreddamento sulla Terra. Al contrario, le nuvole che si formano in alta atmosfera, come per esempio i cirri, lasciano passare la radiazione solare ma bloccano quella riemessa dalla Terra e hanno perciò l’effetto di riscaldare il pianeta.

Qual è il ruolo delle nuvole nelle previsioni climatiche?
Il clima è un fenomeno molto complesso, sappiamo che sta cambiando e che gli scienziati stanno studiando ogni suo aspetto per cercare di prevedere i potenziali impatti ambientali e socio-economici sul nostro pianeta.

Grazie ai report dell’IPCC, un organo internazionale che riassume gli articoli scientifici sui cambiamenti climatici, sappiamo che la temperatura media della superficie terrestre è destinata a salire, che ciò avrà ripercussioni su tutte le componenti del sistema clima (oceani, continenti, calotte polari) e che è necessario ridurre l’emissione di anidride carbonica. L’IPCC ha anche presentato diversi scenari, alcuni quasi apocalittici, altri più ottimisti, di come cambierà il clima al variare della concentrazione di anidride carbonica.

Il problema di queste previsioni è che in tutte c’è un certo grado di incertezza ed è stato dimostrato che tra le cause di questa incertezza c’è la risposta delle nuvole in bassa atmosfera al riscaldamento globale. La mia ricerca consiste nel comprendere meglio l’interazione tra nuvole in bassa atmosfera e clima per diminuire l’incertezza dei modelli climatici e migliorare le previsioni. Per fare ciò esistono diversi strumenti: le osservazioni dirette, da satellite o da terra, i modelli teorici e i modelli dettagliati di singole nuvole.

Perché è così difficile rappresentare le nuvole nei modelli climatici?
In generale, per fare previsioni climatiche si utilizzano modelli numerici costituiti da un insieme di equazioni matematiche elaborate da computer. Le equazioni si usano per descrivere quantitativamente i diversi aspetti del clima, come la quantità di radiazioni, il vento, la temperatura, la pressione, i ghiacci, gli scambi energetici tra acqua e aria; il computer divide poi l’area da esaminare in una griglia spaziale e risolve numericamente tutte le equazioni.

Più i punti griglia sono vicini, maggiore è il numero di informazioni contenute, maggiore sarà la precisione del modello. Maggiore sarà anche la potenza di calcolo necessaria per rielaborare una simile quantità di equazioni. Tuttavia, poiché tale capacità non è infinita, le griglie spaziali non possono essere troppo fitte. Non possono nemmeno essere troppo larghe perché renderebbero il modello cieco, cioè incapace di rappresentare correttamente tutto ciò che è più piccolo della griglia.

Dato che nel clima coesistono fenomeni di dimensioni diverse, alcuni globali come El Niño, che si estende per chilometri, e altri più circoscritti come le nuvole, formate da goccioline grandi un milionesimo di millimetro, non è facile definire la griglia. Nei modelli attuali si usano griglie piuttosto grandi e, per non perdere l’effetto dei fenomeni più piccoli, si introducono delle approssimazioni dei processi fisici che avvengono nell’atmosfera. Si tratta ancora una volta di equazioni matematiche, chiamate parametrizzazioni.

Le nuvole di cui mi occupo fanno parte di quei fenomeni piccoli non risolti dalle griglie e descritti nei modelli attraverso parametrizzazioni. Trattandosi di semplificazioni matematiche, alcune parametrizzazioni possono essere molto precise, altre piuttosto grezze.

Cosa hai scoperto sul rapporto tra nuvole in bassa atmosfera e riscaldamento globale?
Nella mia ricerca mi sono concentrata sugli stratocumuli presenti sugli oceani tropicali. Si tratta di una buona area dove fare questi studi perché comprende oceani molto estesi e zone in cui gli stratocumuli sono presenti quasi tutto l’anno. Siamo così riusciti a identificare i due meccanismi che controllano la risposta degli stratocumuli al riscaldamento globale. Il primo prevede che l’aumento della temperatura superficiale dell’oceano farà aumentare l’evaporazione, che a sua volta causerà l’inspessimento delle nuvole che aumenterà l’effetto di schermatura della radiazione solare. La Terra si raffredderà e il riscaldamento globale verrà contrastato.

Nel secondo, il clima più caldo renderà l’atmosfera più umida ma accentuerà la differenza di umidità tra lo strato limite e quello sovrastante. Ciò causerà l’evaporazione delle goccioline d’acqua che formano le nuvole, gli stratocumuli si assottiglieranno e lasceranno passare più radiazione solare. Il riscaldamento globale verrà amplificato.

Dalle nostre ricerche è anche emerso che l’effetto complessivo di questi due meccanismi sarà una riduzione della nuvolosità. E questa è una cosa abbastanza nuova, perché abbiamo finalmente delle basi teoriche per prevedere che sia gli stratocumuli che i cumuli diminuiranno a causa del riscaldamento globale amplificando il fenomeno.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Il mio nuovo progetto si occupa di cose simili e in particolare di mettere in relazione il riscaldamento globale, i cumuli e il fotovoltaico. Con l’aumento della temperatura cambierà la nuvolosità e, di conseguenza, la quantità di radiazione solare utilizzabile dai pannelli fotovoltaici.

Leggi anche: La Conferenza sul clima di Parigi: un mese, quattro parametri e più di mille opzioni

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Crediti immagine: Sara Dal Gesso

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.