IN EVIDENZA

Sempre meno i soldi spesi per la scuola italiana

Lo dicono i dati del rapporto OCSE Education at a Glance 2015.

12212474014_523cd63525_z
APPROFONDIMENTO – In Italia, lo abbiamo raccontato recentemente su queste colonne, una laurea non è un investimento altrettanto redditizio di quanto lo sia in altri paesi economicamente avanzati. Un laureato italiano guadagna il 143% di chi non ha la laurea, ma in media un laureato di un paese OCSE guadagna il 160% di un diplomato dello stesso paese. Si tratta sempre di un dato da prendere con le dovute cautele, per non rischiare di cadere in semplificazioni come quelle generate dalle dichiarazioni del Ministro Poletti, che riecheggiano quelle di qualche anno fa sui bamboccioni di Padoa Schioppa. Ma lasciando da perdere le interpretazioni sociologiche o psicologiche da bar, possiamo trovare qualche elemento su cui discutere sensatamente?

Premessa: se chi si laurea in Italia ha come prospettiva quella di guadagnare meno di un collega di molti altri paesi OCSE, e non solo, forse c’è un problema più grande, come scrive Alessio Postiglione: una situazione socio-economica che fa sì che la laurea non sia vista necessariamente come un trampolino di lancio per la vita professionale. Un punto sul quale lo stesso Poletti, titolare del dicastero del lavoro e delle politiche sociali, dovrebbe interrogarsi.

Ma l’Italia investe nell’istruzione? Scavando, ma neanche troppo, nel rapporto OCSE Education at a Glance 2015, ci si accorge presto che non è proprio così. I grafici qui di seguito mostrano l’investimento in dollari americani fatti dai singoli paesi per singolo studente secondo il livello scolastico.

5676504678662144 5878152688566272La situazione italiana è poco sotto la media OCSE per la scuola primaria e la scuola secondaria. Siamo vicini alla Spagna, che spesso identifichiamo come simile a noi da un punto di vista socio-culturale, ma lontani, perché spendiamo di più, di Cile e Brasile. Ma anche molto lontani da Lussemburgo e Svizzera, i primi due della classe. Le cose cambiano profondamente quando prendiamo in considerazione il livello terziario, quello dell’università:

4908264515960832
Il nostro paese si distacca più sensibilmente dalla media dei paesi OCSE: 10007 dollari contro 15028. Cioè, come collettività spendiamo su ogni singolo studente universitario il 66,6% di quanto mettono sul piatto gli altri paesi OCSE. I primi della classe sono grossomodo gli stessi, la Spagna, pur spendendo più di noi, non è lontana e i fanalini di coda variano di poco. Ma varia la distanza che ci separa dalla Turchia, il paese che ci ha superato per numero di laureati nella fascia 25-34 anni: 7779 dollari, pari al 77,7% della nostra spesa. Nella secondaria era il 33,1% e nella primaria il 32,5%.

Anche in questo caso, va ribadito che si tratta di un dato che preso da solo può essere travisato: va contestualizzato con le condizioni socio-economiche del paese, con il fatto che non sempre investire denaro significa per forza aumentare la qualità, con una serie lunghissima di altri fattori che possono determinare l’efficacia dell’istruzione. Però, guardando il grafico si può notare che, con la singolare esclusione della Corea del Sud, i paesi più avanzati da un punto di vista tecnologico e scientifico stanno a sinistra e non a destra dell’Italia (Da precisare che i valori sono normalizzati in modo da escludere distorsioni nel confronto tra i paesi).

Aggiungiamo un altro punto di vista sulla spesa in istruzione. Sempre nel report OCSE, si trovano i dati della spesa per istruzione in percentuale sul Prodotto Interno Lordo (PIL). In un panorama in cui, come sottolineano gli stessi analisti dell’OCSE, la spesa si è generalmente contratta per la crisi economica mondiale, le medie sono comunque cresciute: 4,6% contro 4,5% per l’UE a 21 (in nero) e 4,8% contro 4,5% per l’OCSE (in arancione, quasi sovrapponibile con quella dell’UE).

L’Italia è rimasta sostanzialmente piatta su valori attorno al 3,7-3,8%, mentre due paesi come la Repubblica Ceca e la Slovacchia sono tornati a spendere in istruzione negli anni tra il 2010 e il 2011. In particolare, la Repubblica Ceca ha raggiunto il nostro 3,7%. Anche la Spagna, con alti e bassi, comunque spendeva nel 2011 una percentuale maggiore di quanto non spendesse nel 2000. Ma chi ha fatto davvero un salto è la Turchia. Nell’arco di un decennio è passata dallo spendere il 2,5% del PIL a un 3,3%, aumentando di quasi un punto percentuale la spesa in istruzione.

5956674891284480Detto che si sta ragionando su numeri presi fuori dal contesto e che per spiegare le differenze tra paesi così diversi servono più che alcuni grafici, rimane la domanda: perché la Turchia, assieme a molti altri paesi, ha deciso che vale la pena continuare a spendere, e anzi spendere di più, per l’istruzione? Probabilmente, ha un peso l’effetto che una laurea può avere sul mercato del lavoro. Sicuramente cittadini più istruiti contribuiscono in maniera più efficace allo sviluppo delle società. Nel nostro paese, a quanto pare, in primo luogo la classe politica non sembra pensarla allo stesso modo. Eppure, come mostrano le continue riforme della scuola e dell’università, sembrerebbe che l’educazione degli italiani sia costantemente in cima alla loro lista di priorità. I proclami sulla necessità di “investire sugli italiani” per costruire il futuro del paese, come dichiarava in tempi non sospetti Matteo Renzi (era il 2012, prima di arrivare a Palazzo Chigi), forse si riferiscono ad altro. Ci dicessero a cosa.

Leggi anche:

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: ilmicrofono Oggiono, Flickr

Condividi su
Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it