SALUTE

Malattie rare e screening neonatale: a che punto è l’Italia

L'ultimo caso riguarda una bambina morta per mancata diagnosi di Malattia di Pompe. Ecco come funziona oggi in Italia

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SALUTE – Malika, nome di fantasia, marocchina. Nata apparentemente sana, muore poche settimane fa in Emilia Romagna, a soli 4 mesi per una malattia rara, la Malattia di Pompe, una patologia che non era stata diagnosticata alla nascita, dato che in Emilia Romagna, così come in quasi tutte le regioni italiane il Pompe non rientra nei programmi di screening neonatale esteso. Secondo i genitori della piccola però, qualcosa di più poteva essere fatto, e per questo hanno presentato una denuncia contro ignoti con l’ipotesi di omicidio colposo.

È notizia di ieri che il Senato ha approvato in sede deliberante il DDL screening neonatali ma già la vicenda di Malika aveva riportato alle cronache la delicata questione degli screening neonatali in Italia, che hanno profonde differenze a livello regionale. La vita o la morte dipende dalla fortuna di essere nati in una o in un’altra regione? È vero che se Malika fosse nata poco più ad Ovest, in Toscana, dove esiste un progetto per lo screening neonatale anche della malattia di Pompe, le cose sarebbero andate diversamente?

Forse, ma la questione sembra più complessa di così. Abbiamo provato a fare chiarezza incrociando due sguardi: quello di un medico, Antonio Toscano, Responsabile del Centro Regionale di Riferimento per le Malattie Neuromuscolari rare di Messina e quello di un biochimico clinico, Giancarlo la Marca, docente presso il Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche dell’Università di Firenze ed esperto di screening metabolico allargato.

Cos’è la Malattia di Pompe?

Si tratta di una patologia che colpisce circa una persona su 10 mila nel mondo; per fare un confronto, la più nota fibrosi cistica riguarda circa un nuovo nato su 2500. Questi pazienti riportano un difetto genetico che si traduce nell’alterazione di un enzima che serve a metabolizzare il glucosio. La malattia di Pompe ha un elevato tasso di mortalità, nei casi infantili ancora oggi, anche se dal 2006 esiste una terapia sostitutiva che ha aumentato notevolmente la durata di vita di questi piccoli malati, la maggior parte dei quali fino a 10 anni fa moriva entro l’anno. “Oggi – precisa Toscano – il paziente più anziano vivente in Olanda ha 16 anni, cosa impensabile fino a qualche anno fa, e oltre il 50% dei bambini diagnosticati sopravvive dopo l’anno di vita.”

Una situazione a macchia di leopardo

Oggi in Italia lo screening neonatale è regolamentato dalla Legge 104/1992, che riguarda solo tre malattie: la già citata fibrosi cistica, la fenilchetonuria (PKU) e l’ipotiroidismo congenito. Dagli anni Novanta però, grazie all’utilizzo della spettrometria di massa, che rende possibile individuare attraverso un semplice test del sangue molte altre malattie metaboliche, è stato messo a punto negli Stati Uniti quello che viene definito come pannello di screening neonatale esteso, o screening metabolico allargato, che riguarda da 40 a 50 malattie rare. In Italia ancora non esiste l’obbligatorietà di questo screening esteso (SNE), ma solo progetti a livello regionale.

In Toscana e in Veneto da qualche mese, il test comprende tutte e 40 le malattie, malattia di Pompe compresa, in Emilia-Romagna 24 patologie, mentre in altre regioni sono in atto progetti pilota. “Per quanto riguarda la malattia di Pompe però – ci spiega la Marca – oggi non esiste nel mondo un regolamento che rende obbligatorio il test. Alcuni stati lo raccomandano, ma si tratta ancora di progetti pilota”.

Partorisci a Napoli? No problem, puoi inviare il tuo sangue in Toscana

“In Toscana è attivo lo screening per la malattia di Pompe – prosegue la Marca – ma non dobbiamo pensare che ciò significhi che chi nasce in Toscana è più fortunato di chi nasce per esempio a Napoli. Ogni famiglia in qualsiasi regione italiana può scegliere di far prelevare una goccia di sangue (il prelievo viene eseguito sul tallone del neonato, una zona molto irrorata e poco innervata del bambino) e inviarla ai nostri laboratori a Firenze – prosegue la Marca – al costo di 1 euro per malattia. Considerando che si tratta di 40-50 patologie, parliamo nel complesso di un investimento di una cinquantina di euro”. Non è necessario poi portare il campione di persona, si può inviarlo tramite corriere o per posta prioritaria.

A livello gestionale e di risorse come è sostenibile un programma di screening di questo tipo?

“Assolutamente. Un test come questo non porta via molto tempo in un laboratorio di screening specialistico, e noi auspichiamo che sempre più famiglie anche fuori regione usufruiscano di questa possibilità” prosegue la Marca. “Non temiamo un eccesso di richiesta, né per quanto riguarda i costi, né a livello di gestione dei flussi, anche perché la letteratura ci insegna che una diagnosi mancata o avvenuta in ritardo ha un costo più elevato quanto ad assistenza per il servizio sanitario.”
Il problema della razionalizzazione delle risorse è un altro. “Il fatto che in Italia abbiamo ben 32 centri per lo screening su 20 regioni, per un totale di 500.000 nati l’anno, è una follia. Negli Stati Uniti hanno un centro per ogni stato, e la California, per fare un esempio, ha lo stesso numero di nati l’anno dell’Italia”.

Lo screening neonatale non è l’ultima parola

Porre la questione unicamente nei termini di screening neonatale non fornisce una soluzione al problema del riconoscimento tempestivo di una malattia rara, precisa Antonio Toscano. “Se è vero che in Toscana è in atto un programma sperimentale di screening che speriamo possa avere ricadute in futuro anche in altre regioni, il problema è a monte.

Dobbiamo far sì che i medici siano adeguatamente preparati ed informati così da riconoscere i primi sintomi della patologia, cosa che invece purtroppo non avviene ancora pienamente. Puntare sulla diagnosi precoce non significa solo di mettere a punto programmi di screening neonatale per le malattie rare, quello che manca è anzitutto una diffusa conoscenza di queste malattie” conclude Toscano. Di pari passo con la eventuale strutturazione di protocolli di screening neonatale, serve formazione per i medici per imparare a sospettare precocemente la presenza di una malattia rara.

@CristinaDaRold

Leggi anche: Malattie rare, ancora troppe disuguaglianze

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Crediti immagine: Joshua Rappeneker, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.