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Trivelle alle Tremiti: il referendum si farà

La Corte Costituzionale ha stabilito che sarà la popolazione italiana a decidere se lo sfruttamento di giacimenti petroliferi in Adriatico sia necessario all'economia del paese

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AMBIENTE – È la rivincita delle Regioni sul Governo. Ma è soprattutto una pietra miliare nella storia delle democrazia partecipativa italiana su un macrotema importante come quello ambientale. Cantano vittoria le associazioni ambientaliste (il coordinamento NoTriv in testa), come anche i presidenti di cinque regioni del Sud (Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia; l’Abruzzo aveva aderito all’iniziativa in un primo momento, salvo ritirarsi in seguito) che, trovando alleati nelle Marche, nel Veneto e nella Liguria, potranno sottomettere al voto popolare la spinosa questione delle trivellazioni petrolifere nei dintorni delle Isole Tremiti, in provincia di Foggia. Questione, quella delle ricerche petrolifere, nata dall’assegnazione, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, di una concessione di 373 km2 all’irlandese Petroceltic, a fine dicembre scorso, e che aveva mandato su tutte le furie il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano.

Il quesito ammesso dalla Corte Costituzionale riguarda la durata delle autorizzazioni d’esplorazione e trivellazione dei giacimenti, già rilasciate dal governo e che, attualmente, prevede che la concessione duri per tutta la ‘vita utile’ del giacimento, cioè fino a esaurimento commerciale dello stesso.

Difficile che il Governo non si adoperi per salvare il salvabile, creando una norma che scongiuri il referendum stesso. Comunque vadano le cose, il risultato ottenuto dalle Regioni rappresenta un passo in avanti verso una nuova concezione del ruolo dei cittadini nei processi decisionali relativi all’ambiente. Spesso infatti, e non solo in Italia, le decisioni relative all’installazione di attività industriali sul territorio nazionale – in particolar modo quelle relative alla produzione energetica, vista come una condizione imprescindibile per un maggiore benessere economico del paese – vengono prese dal governo centrale, bypassando le autorità comunali e regionali.

Per quanto questa procedura porti sicuramente a una maggiore rapidità esecutiva (per dirne una, il presidente dell’ENI degli anni ’50, Enrico Mattei, preferiva che i lavori per la costruzione di nuovi gasdotti in comunità ‘problematiche’ fossero condotti nottetempo, in modo da mettere le popolazioni locali di fronte al fatto compiuto), lascia ovviamente molto a desiderare dal punto di vista democratico. Oltre ad avere un evidente corollario negativo dal punto di vista dell’ordine pubblico, come in passato hanno dimostrato altre vicende eminentemente socio-tecniche, come quelle del termovalorizzatore di Acerra, in Campania, dell’interramento di scorie radioattive in Basilicata, o dei lavori per la linea di alta velocità in Val di Susa.

La proposta di referendum da parte delle dieci Regioni rappresenta in realtà molto di più di uno scontro istituzionale tra due livelli decisionali. Rappresenta una differenza critica di visioni del futuro di un territorio: da una parte quella del Governo, tesa a privilegiare lo sviluppo industriale e il tornaconto economico dello Stato. Dall’altra, quella delle Regioni – in particolare, nel caso delle Tremiti, della Regione Puglia – tesa a preservare un patrimonio naturale che verrebbe alterato drasticamente dall’installazione delle piattaforme di trivellazione (è da notare, in proposito, che era intenzione del Governo permettere le trivellazioni anche entro le 12 miglia nautiche dalla costa: proposito poi abbandonato proprio in seguito alla presentazione dei quesiti referendari).

In molti vedranno nel referendum la manifestazione di un effetto Nimby (Not in my backyard, ‘Non nel mio cortile’), cioè una preoccupazione di stampo locale, miope rispetto al bene di tutto uno Stato. Ma si può parlare di Nimby in una situazione in cui metà delle regioni italiane si schierano per la preservazione di un territorio? Se, in pratica, il proprio cortile diventa la metà del paese, sarebbe invece più costruttivo abbandonare analisi colpevolizzanti, e cercare di comprendere le motivazioni reali, propositive, della scelta referendaria.

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Crediti immagine: Roberto Cantoni

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