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Stardust memories: il ritorno dell’aerogel

Si festeggia in questi giorni il 10 anniversario della missione Stardust, grazie alla quale la NASA ha portato a terra migliaia di frammenti della cometa WILD2, campioni preziosi per studiare l'evoluzione del sistema solare. L'innovazione che ha reso possibile Stardust è l'aerogel, un materiale affascinante e sofisticato, che farebbe comodo usare anche a terra.

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APPROFONDIMENTO – In questi giorni, la NASA ricorda il 10° anniversario della missione Stardust, conclusa con successo con l’arrivo a Terra di una sonda carica di polvere interstellare, proveniente dallo spazio più profondo e da frammenti della cometa WILD 2, raggiunta dopo circa 6 anni di viaggio. Le analisi dei dati avrebbero coinvolto anche ricercatori italiani dell’INAF.

Il 20 gennaio 2006, la NASA decise di rendere pubblica la prima immagine dei campioni ricchi delle preziose micro particelle. Si trattava infatti di un successo degno di celebrazione, perchè il risultato non era affatto scontato e gli scienziati dell’Agenzia Spaziale poterono tirare un sospiro di sollievo solo dopo aver aperto lo sportello della sonda Stardust.
Da quel momento, i laboratori JPL di Pasadena in California avevano a disposizione una quantità eccezionale di frammenti di materiale risalente direttamente alla formazione del Sistema Solare – circa 4.5 miliardi di anni – un vaso di pandora per approfondire la nostra evoluzione cosmica e capire meglio la natura dei pianeti, compresa la Terra.

Perché era così difficile raccogliere polvere nello spazio? E com’è stato possibile farlo?

Sebbene su tratti letteralmente di polvere, queste particelle viaggiano nello spazio a velocità enormi, dell’ordine di decine di chilometri al secondo. Provare a intercettarle, catturarle e studiarle è un po’ come voler fermare un proiettile per aria, senza provocare danno al proiettile e al bersaglio.
L’asso nella manica della NASA, in quella e altre occasioni simili, si chiama aerogel, un materiale all’apparenza evanescente che nasconde però una struttura molto raffinata, un’innovazione ideata in realtà in epoca non sospetta, quando le missioni spaziali moderne erano ancora trama da fantascienza.

Aerogel, un colpo di genio degno della (futura) NASA

Si può provare a definire l’aerogel come una gelatina o una schiuma fatta quasi interamente d’aria, ma con tutte le proprietà di un solido resistente, isolante e incredibilmente leggero, anche se in effetti non esistono materiali analoghi ed è quasi impossibile catalogarlo. Qualche immagine può aiutare a rendere l’idea delle sue eccezionali proprietà.
Un mezzo come questo, una specie di cuscino d’aria super resistente, è l’ideale per ambizioni spaziali come Stardust. Eppure prima che la NASA lo mettesse all’opera l’aerogel era già a disposizione da più di mezzo secolo, inizialmente pensato soprattutto per applicazioni terrestri.

L’ideatore dell’aerogel si chiama Samuel Kistler, un giovane chimico americano, che si occupava fino a poco prima di agricoltura, autore nel 1931 di un lavoro che riuscì a far pubblicare su Nature. Nello studio, Kistler spiegava com’era riuscito a studiare e modificare la struttura interna della comune gelatina.
Nel tentativo di conoscere il mistero che rendeva possibile una sostanza a metà strada tra liquido e solido, Kistler capì che un’impalcatura invisibile – fatta di collagene – tratteneva il liquido in uno spazio e un volume definito, senza fargli perdere le sue caratteristiche chimiche.
Se le due componenti – collagene e acqua – interagiscono ma sono distinte, è possibile separarle o addirittura sotituirle? Con un sistema assolutamente all’avanguardia, il chimico-agricoltore americano chiuse la gelatina in un ambiente isolato, scelse un solvente adatto e regolò temperatura e pressione in modo da estrarre l’acqua dalla gelatina per sostituirla con un gas, mentre l’impalcatura rimaneva in piedi inalterata.
Eliminato anche il gas, Kistler riuscì così, con una mossa da prestigiatore, a separare l’impalcatura della gelatina senza modificarla o minimamente intaccarla: il primo aerogel della storia, che subito dopo fu realizzato non più in collagene ma in biossido di silicio – in sostanza vetro, un altro colpo di genio di Kistler. Risultato? Una schiuma fatta di vetro, ma composta per più del 99% d’aria, con una densità solo 3 volte superiore, vale a dire peso sostanzialmente nullo. Tra le altre proprietà, il materiale è risultato essere il migliore isolante termico al mondo. La sua struttura interna, infatti, somiglia a miliardi di microscopici doppi vetri  in sequenza.

Tutto questo succedeva in anni in cui non era certo matura l’idea stessa di modellizzazione e ingegnerizzazione ad hoc di un materiale. Forse è stato per questa incapacità di guardare al futuro e, più probabilmente, per la difficoltà di produrlo per i costi troppo alti, che l’aerogel è finito nell’ombra, utilizzato dalla Monsanto Corporation come componente di inchiostri e vernici. Dopo altre applicazioni non proprio stellari, è finito anche nella gelatina delle bombe al Napalm sganciate in Vietnam, come ricorda Mark Miodownik, ingegnere dei materiali e popolare divulgatore scientifico, nel suo libro “La sostanza delle cose“.

Bello e impossibile

Purtroppo, Klister morì prima che la sua invenzione uscisse dall’ombra, grazie ai fisici del CERN che decisero di utilizzarlo come mezzo per studiare le particelle subatomiche. Negli anni Novanta del secolo scorso anche i ricercatori della NASA scelsero l’aerogel come isolante nella missione PathFinder, sfruttando poi il mix di leggerezza, densità e resistenza per dotare la sonda Stardust di racchettoni di aeregel per catturare la polvere stellare. Lo stesso Mark Miodownik racconta nel suo libro che scoprì un campione di aerogel solo poco prima che partisse per la missione Stardust. Fu una vera e propria epifania, un incontro ravvicinato che ha confermato l’importanza, in questo caso, del fattore estetico, oltre che tecnologico: “Ogni anno ci sono nuovi materiali che vengono sintetizzati e resi noti, più o meno eccitanti per la comunità scientifica”, ci ha spiegato Miodownik, accettando l’invito a parlare di questo materiale. “Ma quello che rende così speciale l’aerogel è che si tratta di un mezzo molto sofisticato, con eccellenti proprietà e al tempo stesso è bello da vedere!”
Non si riesce insomma a staccargli gli occhi di dosso, peccato che non ci sia praticamente modo di vederlo da vicino. Non ci sono infatti musei dove poterlo ammirare, nemmeno all’Institute of Making di Londra, diretto da Miodownik. Gli unici a poterlo osservare sono i volontari del progetto di citizen science Sturdust@home, che aiutano la NASA a individuare e catalogare i campioni arrivati a terra nel gennaio 2006, e ovviamente gli stessi scienziati. “E’ decisamente un materiale molto raro, addirittura più dell’oro, potremmo dire”.

Fuori dall’oblio?

Quella dell’aerogel è una storia permeata di fascino, in cui non manca un certo grado di mistero.
Com’è possibile, si chiede ancora qualcuno, che un’innovazione simile sia passata inosservata? Secondo Mark Miodownik “La versione più convincente della storia, è che il materiale sia stato inventato nel tentativo di scoprire la struttura della gelatina”.
Un caso di serendipity si potrebbe dire, quindi, che “ha visto poi una sofisticazione tecnologica non dissimile dai chip in silicio“, costruiti a partire da una piccola modifica interna del semiconduttore.

I chip di silicio hanno però reso possibile tutta la moderna elettronica. Che ne sarà dell’aerogel, entrato di diritto nell’elenco dei materiali e dispositivi carichi di speranze tecnologiche?
“Credo che un’applicazione verosimile sia in architettura” per via delle sue proprietà di materiale isolante – del resto i nuovi carbon-aerogel  ne stanno abbattendo i costi di produzione – oppure, chi l’avrebbe mai detto? “Lo potremo utilizzare per fabbricare gioielli” grazie alla variante gold-aerogel.

@nighttripping

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Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: NASA

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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.