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Siamo pronti a interagire con i robot sociali?

Potrebbero aiutare i docenti a tenere lezioni a distanza o assistere pazienti affetti da Alzheimer: ecco gli sviluppi dei robot capaci di relazionarsi socialmente con le persone

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COSTUME E SOCIETÀ – Immaginate di avere un perfetto sosia, in grado di riprodurre in tutto e per tutto e in modo naturale la vostra voce, le vostre movenze e perfino capace di esprimere i vostri stessi stati d’animo nelle più varie circostanze. Che uso ne fareste? Sarebbe certo comodo averne uno come rimpiazzo al lavoro, o per un esame, o per sostituirci quando non ci va di partecipare a qualche evento.

Se appartenete alla schiera di chi si culla nel sogno di disporre di un così prezioso sostituto, sarete forse sorpresi di sapere che, grazie al progresso della robotica, questa prospettiva è ormai non così tanto remota. Infatti la professoressa Nadia Thalmann, alla guida di un gruppo di ricercatori della Nanyang Technological University (NTU Singapore), ha creato un robot umanoide “a sua immagine”, in grado riprodurre gesti e tono di voce. E persino di esprimere in modo autonomo emozioni come disappunto, allegria, irritazione, in base alla conversazione che sta sostenendo con uno o più interlocutori umani.

Insomma, un perfetto simulacro di sé stessa. Quali sono i possibili utilizzi di una simile macchina?

Un’applicazione affascinante è la cosiddetta telepresenza, o presenza a distanza: un docente, per esempio, potrebbe utilizzare questa (quasi) perfetta copia di sé per riprodurre in tempo reale i propri gesti, o un discorso, rivolgendosi ad un auditorio remoto e distante migliaia di km, come se si trovasse in loco. Con un notevole vantaggio in termini di capacità di interazione diretta e coinvolgimento.

Un esempio di tale applicazione è Geminoid, un progetto sviluppato dall’IRC (Intelligent Robotics and Communication Laboratories)  dell’Advanced Telecommunication Research Institute (ATR) di Kyoto. In Italia, svariati progetti di ricerca nell’ambito della robotica umanoide sono condotte dai ricercatori del dipartimento Advanced Robotics dell’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia): in particolare iCub, un robot umanoide che simula il comportamento di un bimbo con pochi anni di vita.

Insomma, ci si avvicina agli scenari descritti dal visionario film degli anni Settanta Il mondo dei robot di Michael Crichton, in cui gli androidi vengono utilizzati come attrazioni in un gigantesco parco divertimenti: curiosamente, il film è ambientato nell’anno 2000. In generale, un automa in grado di interagire autonomamente con gli esseri umani, manifestando un comportamento specifico in accordo col suo ruolo è chiamato social robot.

Oltre all’applicazione nella didattica a distanza, i social robot potrebbero essere sfruttati in diversi ruoli, dalle guide turistiche alle attrazioni nei centri commerciali.  Ma potrebbero anche trovare “lavoro” come assistenti specializzati in ambito medico-sanitario. Un esempio notevole è costituito da Mario, un robot realizzato grazie ad un finanziamento di 4 milioni di euro nell’ambito del programma europeo Horizon 2020.

Mario verrà utilizzato come supporto per pazienti affetti da morbo di Alzheimer, aiutandoli a ricordare le incombenze principali – come consumare i pasti e assumere farmaci – e a esercitare la memoria per rallentare il processo di degenerazione e alleviare i sintomi più drammatici della malattia. In particolare, già a partire dai primi mesi del 2016, quattro unità Mario saranno impiegate dall’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) Casa Sollievo di San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia.

Uno degli aspetti cruciali nello sviluppo di social robot per il supporto terapeutico, soprattutto nel caso di disturbi complessi come l’Alzheimer, è munire gli automi di un aspetto socialmente gradevole e rassicurante, e al stesso tempo potenziare i loro algoritmi comportamentali per rendere l’interazione quanto più naturale possibile.

E in effetti Mario è stato progettato attingendo a piene mani a un progetto già esistente, chiamato Robobrain, sviluppato dalla società inglese Ortelio. Robobrain è nato però con finalità ben più ambiziose dell’emulazione del comportamento umano nell’interazione sociale: lo scopo ultimo del progetto è infatti la creazione di un equivalente robotico della mente umana.

Insomma, conviene cominciare ad abituarsi all’idea di avere un bel po’ di androidi in giro per il mondo del presente e del prossimo futuro. Ed essere pronti, piuttosto che a premere tasti o muovere leve per comunicare con loro, a sfoderare il nostro migliore sorriso e stringere con calore un mano robotica.

Leggi anche: L’orologio di Alzheimer: verso una diagnosi più precoce della malattia

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Nanyang Technological University

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Gianpiero Negri
Laureato in Ingegneria Elettronica, un master CNR in meccatronica e robotica e uno in sicurezza funzionale di macchine industriali. Si occupa di ricerca, sviluppo e innovazione di funzioni meccatroniche di sicurezza presso una grande multinazionale del settore automotive. Membro di comitati scientifici (SPS Italia) e di commissioni tecniche ISO, è esperto scientifico del MIUR e della European Commission e revisore di riviste scientifiche internazionali (IEEE Computer society). Sta seguendo attualmente un corso dottorato in matematica e fisica applicata. Appassionato di scienza, tecnologia, in particolare meccatronica, robotica, intelligenza artificiale e matematica applicata, letteratura, cinema e divulgazione scientifica, scrive per Oggiscienza dal 2015.