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La rivincita del dodo

I cartoni animati hanno contribuito alla sua nomea di uccello goffo e un po' scemo: uno studio sugli esemplari dei musei di storia naturale cambia le carte in tavola.

Sappiamo ancora poco del dodo ma, grazie alla tomografia computerizzata, è stato scoperto che era un animale piuttosto intelligente. Crediti immagine: Christian Guthier, Flickr

WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – Quando nel 2002 è uscito il primo film de l’Era Glaciale, molti di noi hanno riscoperto il goffo fascino dei dodo, la specie Raphus cucullatus. Certo la competizione per l’ultima anguria non ha fatto un gran servizio all’idea che già ci eravamo fatti del tondeggiante volatile, diventato quasi il simbolo dell’estinzione da quando è stato avvistato per l’ultima volta alle isole Mauritius, nel 1662. Ma era davvero così sprovveduto?

Niente affatto. In verità non era più o meno astuto di altre specie e aveva un rapporto tra il volume del corpo e quello del cervello pari a quello dei moderni piccioni, che sono considerati volatili dalle spiccate capacità cognitive (qui potete leggere perché non diciamo che sono “più intelligenti”). La nuova ricerca pubblicata sullo Zoological Journal of Linnean Society spiega anche che i dodo erano dotati di un bulbo olfattivo (la parte del cervello che elabora le informazioni dei neuroni olfattivi) allargato. È una caratteristica inusuale per gli uccelli, che solitamente in questo senso privilegiano la vista.

“Quando l’isola è stata scoperta nel tardo 1500 i dodo la abitavano senza alcun timore degli esseri umani, che li hanno caricati sulle barche per avere carne fresca con cui nutrire i marinai” racconta in un comunicato Eugenia Gold, leader della ricerca e ricercatrice all’American Museum of Natural History’s Richard Gilder Graduate School. La loro giustificata ingenuità e le specie invasive arrivate in seguito sulle Mauritius hanno portato i dodo a estinguersi, “e penso sia per questo che hanno la reputazione di animali sciocchi”, dice Gold.

Come accade per molte specie estinte, parte della biologia del dodo rimane a oggi un mistero. Gli esemplari in nostro possesso sono pochi e si tratta dei superstiti di antiche collezioni, preservati nei musei di storia naturale. Il lavoro di Gold si è concentrato proprio su di loro, in particolare sui crani di dodo meglio conservati custoditi oggi al Natural History Museum di Londra.

Grazie alla tomografia computerizzata, che consente di ottenere rappresentazioni tridimensionali dalle scansioni di un campione, la ricercatrice ha confrontato questi crani con quelli di sette diverse specie di piccione, dalla diffusa Columba livia (il piccione in cui tutti ci imbattiamo in città) fino a quelle più rare. Grazie al contributo dei colleghi al Natural History Museum of Denmark è stato possibile anche fare un confronto con Pezophaps solitaria, il solitario di Rodriguez, un columbiforme inadatto al volo che è considerato il più stretto parente del dodo. Anche lui si è estinto ma di recente, principalmente a causa delle attività umane.

Se il cervello del dodo ha sfatato il mito di un uccello poco astuto, il confronto con quello del solitario di Rodriguez ha mostrato che anche lui vantava un bulbo olfattivo ampio e differenziato. Ma in fondo si trattava di due specie di uccelli che vivevano sul terreno e non in gruppo, perciò non stupisce che si affidassero all’olfatto per trovare cibo come frutta, piccoli vertebrati, crostacei. “È sorprendente quello che le nuove tecnologie ci permettono di scoprire da vecchi esemplari conservati nei musei”, aggiunge Mark Norell, curatore della sezione di paleontologia all’American Museum of Natural History. “Questo non fa che rimarcare la necessità di preservare le collezioni e anzi accrescerle, chi può sapere quale sarà la prossima scoperta?”.

Il dodo ha finalmente avuto la sua rivincita. D’altronde, fosse stato un uccello sciocco non avrebbe saputo usare il tae kwon do(do).

@Eleonoraseeing

Leggi anche: I musei di storia naturale italiani sono a rischio collasso

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".