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Super forza, ormoni e tormenti. È Jeeg Robot

Il supereore del film di Gabriele Mainetti riprende una caratteristica tipica degli eroi, da Ercole all'incredibile Hulk: una forza sovrumana

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Claudio Santamaria interpreta un supereroe dotato di forza sovrumana nel film Lo chiamavano Jeeg Robot.

STRANIMONDI – Sollevare pesi assurdi, sfondare pareti, accartocciare termosifoni. La forza sovrumana è una delle doti più diffuse fra gli eroi, mitologici o moderni che siano. È un potere semplice, primordiale, meno raffinato di abilità come la telepatia, il teletrasporto o il controllo del magnetismo, ma che continua a essere molto iconico. Questo è particolarmente vero per i supereroi dei fumetti, fin dalla prima apparizione di Superman, sulla copertina di Action Comics 1, dove lo si vede intento a esercitare la propria prodigiosa forza per sollevare una macchina. E non dimentichiamo che, nelle sue prime apparizioni, l’Uomo d’Acciaio non volava ma sfruttava tale forza per compiere salti prodigiosi.

È anche il tratto che caratterizza Enzo Ceccotti, il coatto protagonista di Lo chiamavano Jeeg Robot, interpretato da un superlativo Claudio Santamaria. Nella più classica delle storie di origine del supereroe, Enzo finisce a contatto con una sostanza sconosciuta che inaspettatamente gli dona una forza e una resistenza fisica fuori dal comune. Doti che Enzo, delinquentello solitario e abbruttito che vive a Tor Bella Monaca, pensa subito di sfruttare in maniera egoistica, finché l’incontro con una ragazza fragile e tenace al tempo stesso non lo spinge a diventare l’eroe che lei vede in lui. Lo chiamavano Jeeg Robot è un film che prende tutte le convenzioni di un genere – l’origine, l’isolamento, il supercriminale, la maschera – e le contamina con toni che vanno dal grottesco al violento, dal comico al drammatico, il tutto immerso negli ambienti e nell’accento della borgata romana, con uno stile che non rinuncia per un solo istante alla sua “italianità”. E in questo riuscitissimo mix, la superforza è l’unico potere che si addiceva a un eroe come Enzo Ceccotti: diretto, immediato e, soprattutto, molto simbolico. È la rappresentazione dell’uomo che con un solo gesto può far ciò che gli altri non fanno. Tipo salvare una vita in seguito a un incidente automobilistico.

Quello dell’eroe che usa la sua forza su una macchina per salvare qualcun altro è un’immagine molto ricorrente nel cinema e nei fumetti, ma non solo. C’è un’intera aneddotica di persone normali che sollevano autoveicoli, in genere per salvare bambini. Eventi non del tutto verificati che però, una volta ripuliti delle tante esagerazioni e distorsioni sensazionalistiche, potrebbero avere un fondo di scientificità. Due casi esemplari sono quelli di Angela Cavallo e di Tom Boyle, che sono stati citati, rispettivamente, dalla comunicatrice scientifica Jordan Gaines Lewis e da Jeff Wise, science writer e autore del libro Extreme fear, come esempi della cosiddetta forza isterica, cioè una manifestazione di forza inusuale innescata da situazioni di particolare stress emotivo. Paura, difesa della prole e intensa competizione sono gli esempi più spesso associati a questo tipo di reazione, in genere associata alla capacità di non sentire dolore e mediata da una scarica di adrenalina innescata dall’ipotalamo. A sua volta, l’adrenalina è in grado di aumentare la frequenza delle contrazioni di un muscolo e, di conseguenza, la forza che è in grado di esercitare. Ovviamente, simili prove di forza non possono durare a lungo visto l’enorme richiesta in termini energetici e di sforzo muscolare.

Questi casi richiamano alla mente i berserker, guerrieri scandinavi, e il furioso stato di trance guerriera nel quale entravano in battaglia, durante la quale non erano in grado di distinguere i propri alleati dai nemici. Per questo indossavano pellicce di lupi o orsi per segnalare a tutti la loro instabile natura. Ed è quindi inevitabile tornare al mondo dei fumetti e a un personaggio reso celebre dalla propria incontrollabile e devastante furia. Se gli antichi guerrieri scandinavi probabilmente facevano uso di sostanze psicotrope per innescare la furia combattiva (ma non è da escludere che molti fossero instabili di natura), Bruce Banner è stato suo malgrado esposto a una massiccia dose di raggi gamma che l’hanno reso in grado di trasformarsi nell’Incredibile Hulk.

Purtroppo per lui, questa trasformazione non è volontaria ma innescata da forti stress emotivi. E, secondo Sebastian Alvarado, ricercatore in biologia a Stanford, potrebbe coinvolgere meccanismi epigenetici. La sua ipotesi chiama in causa il processo di cromotripsi, cioè un riarrangiamento cromosomico in seguito a un singolo catastrofico incidente subito dal genoma. Quando il DNA di Bruce Banner ha cominciato a riassemblarsi dopo lo shock iniziale causato dai raggi gamma, è possibile che si siano formati una serie di interruttori epigenetici sensibili agli ormoni prodotti in caso di stress emotivo. Interruttori che quindi, se attivati, innescherebbero la trasformazione del mite Banner nel distruttivo Hulk. E l’epigenetica, secondo Alvarado, potrebbe spiegare anche le prodigiose capacità fisiche di Capitan America, che non si limitano alla forza ma includono anche agilità, resistenza e reattività fuori dall’ordinario.

I super-soldati come Cap esistono anche in natura, per esempio in alcune specie di formiche del genere Pheidole. Uno studio pubblicato nel 2012 su Science ha rivelato che iniettando uno specifico ormone in una larva durante un particolare momento dello sviluppo, è possibile farla diventare un esemplare adulto più massiccio e con una testa molto più grande, particolarmente adatto a difendere la colonia. Questa anomalia ormonale sarebbe quindi intrinseca ma inespressa, e verrebbe attivata da particolari circostanze ambientali. Ma anche senza gli esempi estremi dei super-soldati, le formiche in generale sono note per la loro eccezionale forza, tanto da aver ispirato un supereroe come Ant-Man, recentemente approdato sul grande schermo, che grazie a un composto è in grado di ridurre le proprie dimensioni e sviluppare una forza sovrumana.

Quello del super-soldato la cui potenza fisica è stata potenziata artificialmente è un altro archetipo piuttosto ricorrente. Lo stesso Capitan America, insieme a Daredevil, ne affronta uno particolarmente pericoloso nel fumetto Devil: rinascita di Frank Miller. Si tratta di Nuke, un veterano del Vietnam squilibrato e ultra-nazionalista – ha la bandiera americana tatuata sulla faccia, per capirci – che dipende da alcune pillole di diverso colore per mantenere un minimo di controllo. Il personaggio è stato poi in parte modificato e introdotto come poliziotto ex-veterano nella serie tv Jessica Jones. Anch’essa, guarda caso, incentrata su un personaggio dotato di una forza straordinaria che, dopo una trauma causato dal suo arcinemico Kilgrave, ha deciso di abbandonare la vita da supereroina per aprire un’agenzia investigativa.

Dai berserk norreni alle esplosioni di rabbia di Hulk, dalla traumatizzata Jessica Jones al misantropo Enzo Ceccotti, gli eroi dotati di superforza condividono un intenso conflitto interiore. Da un lato sono resi impazienti dall’impetuosità di questa grande forza, che sembra quasi scalpitare per venire allo scoperto. Dall’altro sono costretti a constatare che questo loro talento da solo non basta e che, come le formiche, hanno bisogno di essere parte di una comunità per dare un senso alla propria esistenza.

@Lineegrigie

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Michele Bellone
Sono un giornalista e mi occupo di comunicazione della scienza in diversi ambiti. I principali sono la dissemination di progetti europei, in collaborazione con Zadig, e il rapporto fra scienza e narrativa, argomento su cui tengo anche un corso al Master di comunicazione della scienza Franco Prattico della SISSA di Trieste. Ho scritto e scrivo per Focus, Micron, OggiScienza, Oxygen, Pagina 99, Pikaia, Le Scienze, Scienzainrete, La Stampa, Il Tascabile, Wired.it.