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Basta la paura dei predatori a modificare un ecosistema

I grandi carnivori svolgono un ruolo fondamentale per la salute degli ecosistemi: una ricerca ha investigato il meccanismo della paura nel mantenimento degli equilibri biologici

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Nelle Gulf Island al largo della costa del Canada i procioni hanno modificato il proprio comportamento in assenza di predatori. Crediti immagine: Alan Vernon, Wikimedia Commons

SCOPERTE – Non è soltanto la presenza di predatori a influenzare l’equilibrio di un ecosistema. Anche la sola paura che incutono è infatti sufficiente a scatenare una serie di effetti a cascata sull’ambiente. È quanto emerge da una ricerca pubblicata su Nature Communications, condotta su alcune isole al largo della costa canadese.

La progressiva scomparsa dei grandi carnivori da molti ecosistemi del pianeta è uno degli effetti più rilevanti che l’impatto delle attività umane ha avuto sull’ambiente negli ultimi secoli. Orsi, lupi, tigri, linci, molte specie di predatori hanno visto le loro popolazioni ridursi e farsi sempre più rare. Spesso uccisi per il potenziale pericolo che rappresentano per le persone, questi animali affrontano anche la minaccia dell’erosione dei loro habitat o della riduzione delle loro prede. E le conseguenze sugli ecosistemi non mancano di farsi sentire: quando vengono meno i grandi predatori, si alterano gli equilibri tra le altre specie che popolano lo stesso ambiente. Ne avevamo parlato alcuni anni fa, quando una ricerca pubblicata su Science aveva evidenziato i potenziali effetti di questa scomparsa: il numero delle prede cresce in modo incontrollato, crolla l’abbondanza e la ricchezza di specie di uccelli e mammiferi, si diffondono malattie e le coltivazioni possono subire danni.

Un esempio di questa alterazione sembra essersi verificato nelle Gulf Island, un arcipelago della provincia canadese della British Columbia. Quando sono scomparsi i loro predatori naturali, cioè lupi e puma, le popolazioni di procioni sono cresciute senza controllo, modificando il proprio comportamento. Animali generalmente notturni, hanno iniziato a cacciare anche di giorno, con un impatto su diverse specie marine, come granchi e pesci. In che modo è avvenuto questo cambiamento? È possibile che i grandi carnivori non tenessero sotto controllo i procioni soltanto con la predazione, ma che bastasse la paura della loro presenza a modificarne il comportamento. Il gruppo di ricercatori guidato da Liana Zanette, della University of Western Ontario, ha testato proprio questa ipotesi.

Dopo aver nascosto degli altoparlanti sulle coste, dove i procioni vanno a caccia di animali marini, gli scienziati hanno trasmesso per un mese l’abbaiare di cani, che sono altri predatori dei procioni, o le vocalizzazioni di leoni marini, che invece non rappresentano un pericolo per questi animali. Osservando il comportamento dei procioni e studiando le fluttuazioni delle popolazioni di granchi e pesci, i ricercatori hanno notato un immediato effetto di paura del predatore. Quando sentivano abbaiare i cani, i procioni tendevano a smettere di cacciare e assumevano un comportamento più prudente rispetto a quando ascoltavano i suoni dei leoni marini. L’impatto della paura dei predatori su tutta la catena alimentare nel complesso è stato notevole, sottolineano i ricercatori, un vero e proprio effetto a cascata.

I risultati dello studio si inseriscono nella complessa discussione sul rewilding, cioè sul reinserimento di alcune specie negli ecosistemi da cui erano scomparse, con conseguenze sugli altri livelli trofici dell’ambiente (ne avevamo parlato qui). Reintrodurre i grandi carnivori in un habitat sembra quindi ristabilire un “paesaggio di paura” che contribuisce a un ritorno agli equilibri perduti. Anche se i risultati dello studio non escludono la possibilità di altre spiegazioni, forniscono però un’evidenza sperimentale del fatto che la paura dei predatori può di fatto giocare un ruolo importante nel conservare la salute di un ecosistema.

“Incutendo timore – concludono i ricercatori nello studio – la stessa esistenza dei carnivori può fornire un servizio essenziale agli ecosistemi che le azioni umane non possono completamente sostituire, rendendo essenziale il mantenimento o il reinserimento dei grandi carnivori a scopo di conservazione”.

@ValentinaDaelli

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