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Crioconservazione, un aiuto anche per le api?

In Europa una specie di ape su dieci è minacciata. Preservarne gli embrioni in azoto liquido è una delle strade che gli scienziati stanno esaminando per salvarle

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Non solo tutela dell’habitat: la conservazione delle api potrebbe passare anche per strade finora inesplorate, come il congelamento degli embrioni. Crediti immagine: Pixabay

AMBIENTE – Se non siamo nuovi all’idea di una fecondazione in vitro per salvare le specie minacciate (come i rinoceronti), anche la crioconservazione degli embrioni d’ape non sembra nulla di particolarmente strano. Eppure, per quanto ne sappiamo, è l’unica specie domestica che non ha una sua banca del seme o del plasma germinale. A spiegarlo è While Rinehart dello United States Department of Agriculture, uno degli esperti che lavorano nei laboratori di Fargo, nel Dakota del Nord.

Perché fare banche del seme e degli embrioni per le api? La risposta arriva dal loro stato di conservazione e non serve andare negli Stati Uniti perché sia lampante: nel 2015 l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) ha condotto la prima valutazione di tutte le 1.965 specie di ape selvatica che vivono in Europa. Per la metà di queste non esistono dati a sufficienza per un quadro preciso, ma delle restanti il 9,2% è a rischio di estinzione, il 5,2% lo sarà a breve. Una specie di ape su dieci, in Europa, è minacciata.

Congelare gli embrioni degli insetti in modo da poterli poi utilizzare non sembra una pratica immediata ma per come la vedono Rinehart e colleghi, che ne hanno parlato in un’intervista a Minnesota Public Radio News, potrebbe essere tra le più sensate. Non ci sarebbe che da “scongelare” l’embrione desiderato, farlo sviluppare a regina e inseminarla con lo sperma crioconservato per dar vita alle colonie. Il materiale congelato sopravviverebbe potenzialmente per sempre, o se non altro fino a quando si ha a disposizione dell’azoto liquido e un deposito sicuro da mantenere a -160°C. Eppure rimane un procedimento a dir poco complesso e gli embrioni sono delicati e minuscoli, piccoli come un trattino in un sms a detta di Arun Rajamohan, biologo USDA e collega di Rinehart nei laboratori di Fargo.

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La crioconservazione è un processo complicato: con gli embrioni d’ape bisogna lavorare in una finestra di 40 minuti. Fotografia di Radosław Drożdżewski, Wikimedia Commons CC BY-SA 4.0

Prima di tutto bisogna rimuovere l’acqua dall’embrione perché congelerebbe e finirebbe per danneggiare la cellula, che invece va riempita con una sostanza chimica. Poi si procede con la vetrificazione: l’embrione viene subito congelato a una temperatura di circa -120°C, che ferma il tempo e blocca ogni attività. L’intero procedimento è in fase sperimentale e portato avanti con l’ausilio di un robot per avere il maggior livello di precisione possibile. I ricercatori stanno cercando di stabilire il tempismo perfetto per portare a termine le varie fasi senza danneggiare l’embrione e questa finestra varia tra i diversi insetti, ha spiegato Rajamohan nell’intervista. Per le api è di 40 minuti quando l’embrione ha solamente tre giorni.

Mentre aspettiamo gli sviluppi del lavoro a Fargo e negli altri laboratori, non resta che seguire le linee guida lasciate dalla IUCN dopo la sua valutazione. Ovvero raccogliere più dati sullo stato di conservazione delle specie di ape selvatica e impegnarsi (coinvolgendo gli agricoltori) a tutelare gli habitat importanti per la loro sopravvivenza e crearne di nuovi. Ma non solo, perché anche gli apicoltori e tutti coloro che lavorano con le api devono fare la propria parte: l’allevamento, il commercio e la gestione vanno regolati con severità, per evitare la diffusione di patologie che possono sterminare gli insetti e contribuire al loro declino.

@Eleonoraseeing

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Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".