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Zika: stabilita la prima associazione con microcefalia

Il virus è stato isolato dai tessuti di un feto e identificato nel sangue della madre, settimane dopo la scomparsa dei sintomi

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L’infezione del virus Zika durante la gravidanza sembra essere associata a un rischio di microcefalia nel bambino. Crediti immagine: tipstimes.com/pregnancy, Flickr

SALUTE – I ricercatori dell’Università di Helsinki sono riusciti a isolare il virus Zika dal tessuto cerebrale di un feto in via di sviluppo, dopo averlo individuato nei campioni di sangue della madre. Lo studio, condotto su un’unica donna incinta, è stato pubblicato da poco sul The New England Journal of Medicine. Pur trattandosi per ora di un solo caso, sarebbe il primo a confermare l’associazione tra infezione da Zika e microcefalia, la patologia che colpisce i feti e causa un’importante riduzione del volume del cervello e della circonferenza cranica.

In un anno i casi di microcefalia registrati in Brasile sono stati oltre 4000, ma durante l’emergenza sanitaria degli ultimi mesi gli scienziati di tutto il mondo si sono mantenuti cauti nel confermare un’associazione con il virus, noto da tempo e balzato improvvisamente sotto i riflettori. A inizio mese un’altra ricerca ha chiarito quali sono le cellule prese di mira dall’infezione, ma gli autori avevano ribadito che era ancora presto per parlare di un effetto causale. Il Brasile non è stato l’unico a essere colpito duramente: nel 2013 in Polinesia Francese i casi di infezione da virus Zika sono stati 28 000, l’11% della popolazione, e il virus ha continuato a rimanere presente anche negli anni successivi. Nello stesso periodo le autorità sanitarie hanno registrato un aumento dei casi di malformazioni cerebrali e di sindromi polimalformative che potevano essere associate proprio allo Zika.

Ora le cose potrebbero cambiare: Olli Vapalahti e i colleghi dell’università finlandese hanno dimostrato che piccole tracce di materiale genetico di Zika possono essere rilevate nel sangue di una donna incinta anche settimane dopo il termine dei sintomi (sfoghi cutanei, febbre…). In queste fasi iniziali dello sviluppo del feto, le tecniche di neuroimaging hanno permesso di osservare la crescita del cervello e di identificare le anormalità, già presenti.

L’emergenza che circonda Zika ci ha colti in parte impreparati, anche se il virus è noto dagli anni Quaranta del secolo scorso, quando è stato scoperto in Uganda. Proprio per questo molti laboratori nel mondo si sono subito messi al lavoro per pensare a un vaccino e a trattamenti antivirali efficaci. Uno di questi, alla Purdue University, è stato il primo a determinare la struttura del virus e a identificare le peculiarità che potrebbero essere prese di mira nel combattere l’infezione. “La struttura del virus ci fornisce una mappa con le ipotetiche regioni da colpire con un trattamento terapeutico, da usare per sviluppare un vaccino o per migliorare la nostra capacità di diagnosticare e distinguere l’infezione da Zika da quella di altri virus simili”, commenta in un comunicato Richard Kuhn, lo scienziato che ha guidato lo studio appena uscito su Science.

Oltre a descriverne la struttura, Kuhn e colleghi hanno anche identificato le differenze che distinguono lo Zika dagli altri Flavivirus (trasmessi dalle stesse specie di zanzare ospite, Aedes aegypti e Aedes albopictus) come dengue, febbre del Nilo Occidentale, febbre gialla ed encefalite giapponese. Tutte queste caratteristiche ci aiutano a conoscerlo meglio, sia dal punto di vista della trasmissione sia dell’insorgenza dei sintomi. Per quanto riguarda la diagnosi, i metodi raccomandati dagli esperti sono la ricerca di RNA virale e della presenza di anticorpi nel sangue. Alle donne incinte si raccomanda di sottoporsi a ecografia, oltre a far esaminare il liquido amniotico per stabilire l’eventuale presenza dello Zika.

A oggi la trasmissione del virus è stata confermata in 33 Paesi, 12 dei quali hanno anche riportato un aumento dell’incidenza della sindrome di Guillain-Barré, una patologia che colpisce il sistema nervoso di adulti e bambini, causando debolezza muscolare e una progressiva perdita di sensibilità. Anche qui, serviranno nuovi dati per stabilire il nesso causale con basi scientifiche.

@Eleonoraseeing

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".