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Chi ha paura di costruire robot?

Persino un'azienda innovativa come Google è stata costretta ad abbandonare la prospettiva di creare macchine umanoidi avanzate, non solo per questioni di costo e complessità.

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La prospettiva di sviluppare robot avanzati può spaventare anche gli stessi dipendenti delle aziende costruttrici. Crediti immagine: Public Domain

TECNOLOGIA – Ormai è ben noto: l’innovazione tecnologica più spinta è il pane quotidiano di Alphabet, il colosso che ha inglobato Google, Inc. e le altre società che ne facevano parte.

E, naturalmente, il grande occhio di Mountain View non poteva non accorgersi della crescita esponenziale del mercato delle applicazioni robotiche, cosicchè i vertici della corporazione, già nel 2013, hanno deciso l’acquisizione società di ingegneria Boston Dynamics, uno spin-off del Massachusetts Institute of Technology noto per le sue avanzate creazioni, come BigDog e Atlas.

BigDog, il cui sviluppo è stato finanziato dalla Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), nasce per diventare mulo da trasporto di contingenti militari su terreni troppo impervi per i veicoli tradizionali. Infatti, BigDog è munito di quattro zampe che gli consentono di attraversare agevolmente terreni accidentati o caratterizzati da pendenze elevate, che non potrebbero essere affrontati da camion o altri mezzi su ruota.

Atlas, invece, è un robot umanoide antropomorfo, progettato per varie missioni di ricerca e salvataggio. Caratterizzato da un elevato grado di mobilità, Atlas può camminare su terreni impervi, trasportare carichi, scalare pendii utilizzando braccia e gambe, e raccogliere e manipolare oggetti di vario genere. La sua architettura è estremamente complessa: comprende 28 articolazioni idrauliche che funzionano elettronicamente, una stereo camera per la visione artificiale e una batteria in grado di garantire un’autonomia di varie ore.

Tuttavia, nelle scorse settimane Alphabet ha annunciato l’intenzione di liberarsi di questa parte del suo business. Perchè, se il mercato di riferimento è così promettente e potenzialmente attrattivo?

I motivi sarebbero molteplici, ma la considerazione principale riguarderebbe un problema generale della ricerca avanzata: sviluppare software è più semplice (e meno costoso) che sviluppare hardware, come quello necessario per la realizzazione robot.

In effetti, per sviluppare robot capaci di eseguire compiti e adattarsi a scenari variabili si hanno sostanzialmente due opzioni. In un caso si può simulare un ambiente e il robot stesso, e poi caricare nella macchina il software sviluppato nella simulazione e incrociare le dita perché tutto funzioni. L’alternativa prevede di saltare il passaggio della simulazione e di lanciare nella mischia il robot munito di una opportuna rete di sensori, sperando che gli algoritmi sviluppati gli conferiscano la capacità di apprendere una corretta strategia di comportamento.

A dire il vero, esiste anche una vita di mezzo tra questi due differenti approcci, peraltro già utilizzati da Google nello sviluppo dei veicoli a guida autonoma. Tuttavia, rispetto a un’auto un robot ha una struttura estremamente più complessa e con molti più gradi di libertà – infatti presenta braccia, gambe, ginocchia e dita al posto di semplici ruote. Per questo l’interazione col mondo esterno è molto più variegata e imprevedibile, rendendo quasi impossibile una simulazione preliminare di tutti gli scenari di utilizzo.

C’è poi una questione di numeri. Al momento Google può già contare su migliaia di vetture che macinano miglia su miglia ogni giorno, raccogliendo in tempo reale dati utilizzabili per le simulazioni e per le analisi di tutti i casi di utilizzo. Nel caso dei robot invece il “parco” a disposizione è molto più limitato.

Oltre alla complessità di natura tecnica, secondo un report di Bloomberg i vertici di Alphabet si sono dichiarati scettici sulla possibilità che questo particolare mercato possa generare un fatturato significativo nei prossimi anni. I robot di Boston Dynamics potrebbero essere più interessanti per altri colossi, come Toyota o Amazon, che li potrebbero utilizzare nei loro sistemi di produzione o di immagazzinamento automatico.

Un aspetto ancora più interessante è che le comunicazioni interne a Google hanno mostrato che la stessa azienda ha timori non trascurabili circa i futuri sviluppi dei robot di Boston Dynamics. In effetti, Google ha decine di migliaia di dipendenti, e gli umani e comprensibili timori di questa moltitudine sono emersi in modo inequivocabile quando gli appunti delle riunioni e le mail relative a Boston Dynamics sono stati pubblicati su un forum interno. Tutti gli impiegati di Google hanno potuto vedere questi scambi di messaggi, e qualcuno, ritenendo terrificanti le prospettive descritte, ha deciso di inviarli a Bloomberg.

In altri termini, la “base” di Google si è pronunciata contro la possibilità di sviluppare automi così evoluti da diventare potenzialmente pericolosi per gli esseri umani. E la fronda interna ha definitivamente convinto la direzione strategica a liberarsi di questa rumorosa pietra dello scandalo.

Chiunque si voglia lanciare in questo mercato è quindi avvertito: non ci saranno solo problemi tecnici o economici da affrontare, ma si dovrà fare i conti anche con la diffidenza – e talvolta il terrore – degli ingegneri e dei dipendenti umani di fronte alla prospettiva di creare macchine così evolute e proprio per questo percepite come molto, troppo minacciose.

Leggi anche: A studiare mi aiuta Google

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Gianpiero Negri
Laureato in Ingegneria Elettronica, un master CNR in meccatronica e robotica e uno in sicurezza funzionale di macchine industriali. Si occupa di ricerca, sviluppo e innovazione di funzioni meccatroniche di sicurezza presso una grande multinazionale del settore automotive. Membro di comitati scientifici (SPS Italia) e di commissioni tecniche ISO, è esperto scientifico del MIUR e della European Commission e revisore di riviste scientifiche internazionali (IEEE Computer society). Sta seguendo attualmente un corso dottorato in matematica e fisica applicata. Appassionato di scienza, tecnologia, in particolare meccatronica, robotica, intelligenza artificiale e matematica applicata, letteratura, cinema e divulgazione scientifica, scrive per Oggiscienza dal 2015.