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Endometriosi, fibromi e sostanze tossiche: quale relazione?

Nel mirino di una nuova ricerca DDE e ftalati. "I dati sono interessanti, ma è ancora prematuro parlare di causa" precisa l'esperto

Un recente studio mette in luce un possibile legame fra l’insorgenza di endometriosi e fibromi con l’esposizione a DDE e ftalati. Crediti immagine: Michael Smith, Flickr

SALUTE – Uno studio pubblicato nei giorni scorsi da un team di scienziati della New York University ha sottolineato gli enormi costi economici di alcune patologie benigne molto comuni dell’apparato riproduttivo femminile, come endometriosi e fibromi. Il fulcro della notizia, per come è stata comunicata, è però un altro, e cioè il possibile legame fra l’insorgenza di queste patologie e l’esposizione a sostanze tossiche (EDCs: endocrine disrupting chemicals) che avrebbero la capacità di alterare i delicati meccanismi ormonali della donna: il DDE (un derivato del DDT) per i fibromi e gli ftalati per l’endometriosi. Lo studio aveva infatti il compito -si legge- di calcolare, basandosi su una serie di articoli pubblicati con un sistema di peer-review, i costi sanitari ed economici attribuibili alle esposizioni a queste sostanze nei paesi dell’Unione Europea.

Il risultato dello studio è che i ricercatori hanno evidenziato come vi possa essere una correlazione di causalità tra l’esposizione a queste sostanze tossiche, i fibromi uterini e l’endometriosi stimabile tra il 20% e il 39%, per un totale di 145 mila casi di endometriosi e 56 mila casi di fibromi. Il costo totale per la gestione di queste pazienti sarebbe di conseguenza stato stimato di 1,5 miliardi di euro.

Il punto è che ancora non possiamo parlare di causa-effetto, dato che a oggi non sappiamo con certezza se l’esposizione a queste sostanze sia una reale causa dell’insorgenza di endometriosi e fibromi. “Sappiamo che l’esposizione a queste sostanze può incidere in maniera significativa sulla salute in generale. Tuttavia, nonostante i risultati, i ricercatori si esprimono con estrema cautela sulla probabilità dell’esistenza di un nesso diretto” precisa Renato Seracchioli, direttore Unità operativa Ginecologia e Fisiopatologia della Riproduzione del Policlinico Sant’Orsola di Bologna.

Lo studio, infatti, rileva che “diclorodifenildicloroetilene (DDE) e ftalati ‘possono contribuire’ (“may contribute”) all’insorgenza di disturbi riproduttivi molto comuni nella donna, come endometriosi e fibrosi. Lo studio precisa inoltre che “queste stime si riferiscono solo agli EDCs per i quali esiste un numero di dati sufficienti per poter elaborare alcune ipotesi”.

Inoltre, anche riguardo alla cancerogenicità di DDE e ftalati non c’è al momento una risposta definitiva da parte della scienza. Lo stesso Istituto Superiore di Sanità precisa che lo IARC (l’Agenzia delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Cancro), che attraverso revisioni sistematiche di tutta la letteratura scientifica su un dato argomento redige le liste di cancerogeni o possibili tali, ha classificato il DDT nella categoria 2B, gruppo di sostanze che comprende i possibili cancerogeni per l’uomo, nel quali sono inseriti alcuni composti degli ftalati. Il fumo e l’amianto sono invece classificati nella categoria 1, quella a cui appartengono le sostanze a cancerogenicità è scientificamente comprovata.

“Ciò non significa che DDE e ftalati non siano dannosi per l’organismo, e questo in letteratura è stato ampiamente dimostrato” spiega Seracchioli. “Non bisogna dimenticare che per esempio l’endometriosi è una malattia multifattoriale, dove entrano in gioco il comparto il genetico, il sistema immunitario e quello ormonale, ed è noto che queste sostanze tossiche potrebbero agire proprio su questi sistemi. Il sunto del messaggio è che al momento ci sono diversi argomenti di ricerca, e questo studio ne rappresenta certamente uno dei più interessanti, ma ancora non possiamo parlare di relazione stretta di causa-effetto”. È inoltre importante osservare come il danno sulla salute possa dipendere da molte variabili come la durata dell’esposizione, dalla quantità di agente nocivo e dalla sensibilità individuale.

Quello che è certo, invece, è il riscontro dell’aumento, negli ultimi decenni, del numero di casi di patologie come l’endometriosi. Questo può essere dovuto da un lato a una nostra migliore capacità diagnostica, grazie alle moderne tecniche ecografiche e laparoscopiche e, dall’altro, a una maggior esposizione dell’organismo a sostanze tossiche, ambientali, alimentari, batteriologiche il cui contributo potrà essere valutato con più precisione in un prossimo futuro.

@CristinaDaRold

Leggi anche: Endometriosi, una malattia silenziosa

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.