ricerca

Non solo bonobo: lo sguardo della scienza sull’omosessualità animale

Nei moscerini della frutta il numero di incontri omosessuali varia in relazione ad alcuni geni, mentre nei montoni entra in gioco la neurobiologia (e un enzima)

14311604626_d6b947c6d8_k
Nei bonobo, comportamenti sessuali tra individui dello stesso sesso posso aiutare a ridurre le tensioni tra gruppi rivali. Crediti immagine: Tambako The Jaguar, Flickr

SPECIALE MAGGIO – A fine aprile la foto di due leoni maschi che “si accoppiano” ha fatto il giro della rete: inizialmente si è pensato che uno dei due fosse in realtà una femmina, dotata di criniera forse grazie a una predisposizione genetica già nota nelle popolazioni del Botswana. Ma pochi giorni dopo, con l’arrivo di un video e nuove immagini fornite dalla fotografa Nicole Cambré, un dietrofront: si tratta di due maschi, come confermato da vari esperti intervistati da National Geographic, secondo i quali il comportamento non è necessariamente omosessuale né riproduttivo.

La tematica dell’omosessualità tra animali rispunta spesso proprio in concomitanza con la documentazione di “casi particolari” come i leoni – che in realtà non erano poi così particolari. Un esempio sono i due orsi bruni maschi studiati in cattività da un gruppo di scienziati croati, che per dieci anni li hanno osservati e hanno documentato il primo caso di fellatio tra plantigradi di cui siamo a conoscenza. In condizioni artificiali, dunque in uno zoo come in questo caso, non è raro che le ipotesi per spiegare comportamenti “inusuali” (pensiamo al gioco o a casi particolari di imitazione) includano la noia degli animali o una deprivazione di qualche tipo. I due orsi, scrivevano i ricercatori su Zoo Biology, avevano vissuto in cattività tutta la vita ed è possibile che avessero risentito dell’allontanamento dalla madre (dunque di una “early deprivation of maternal suckling“).

Eppure, quando parliamo di animali non umani, bisogna anche chiarire cosa si intende per omosessualità: in generale si tratta di tutti quei comportamenti che includono corteggiamento o atti sessuali con un individuo del proprio sesso (ma non imparentato), ma anche altre attività che solitamente prevedono il coinvolgimento di due animali di sesso diverso, per esempio l’allevamento della prole presso il nido. Nel 2006 il National History Museum dell’Università di Oslo ha organizzato una mostra chiamata “Against Nature?” dedicata proprio a questo tema, stimando che sul pianeta fossero almeno 1500 le specie in cui era stato osservato un comportamento omosessuale. Figuriamoci oggi quante saranno diventate.

Una specie nella quale comportamenti di questo tipo sono osservati normalmente è Pan paniscus, il famoso bonobo, sportivamente noto al grande pubblico come un primate che trascorre gran parte della sua esistenza a fare sesso casuale con i simili, maschi o femmine che siano. In verità, racconta chi con i bonobo ci lavora da anni, di casuale c’è davvero poco: parlando di riproduzione non sono più sessualmente attivi dei loro cugini scimpanzé (Pan troglodytes) e riservano altri tipi di interazione sessuale a situazioni prettamente sociali. Il contatto genitale tra due femmine o due maschi può servire, per esempio, ad alleviare la tensione tra due gruppi “rivali” di fronte a risorse di cibo come un albero carico di frutta. Non è raro vedere i maschi di bonobo intenti in pseudo-copulazione, con testicoli a contatto o alle prese con il penis-fencing.

Passando ad animali più familiari, l’omosessualità tra le pecore domestiche è forse tra le più studiate: fino all’8% dei montoni nelle popolazioni preferisce un partner maschio anche in presenza di femmine in estro, una scelta che è stata ampiamente indagata anche dal punto di vista neurobiologico. Vari studi scientifici si sono concentrati proprio sulla ricerca di basi genetiche o fisiologiche come fondamento dell’omosessualità negli animali, ma il filone di ricerca è ancora in continua evoluzione. Gli studi sui montoni hanno confermato che un’area del cervello è più ampia negli ovini eterosessuali rispetto a quelli omosessuali. Si tratta della regione responsabile della produzione di un enzima, l’aromatasi, fondamentale per la sintesi degli estrogeni (gli ormoni sessuali femminili). Dando un’occhiata sempre ai geni entra in campo la studiatissima Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta, in cui il numero di incontri omosessuali, ovviamente osservati in cattività, varia sensibilmente al mutare di alcuni geni.

Il “costo” in termini di energia per gli incontri omosessuali non sembra essere un problema, pur non portando alla riproduzione – e sappiamo che qualsiasi azione viene intrapresa per sopravvivere e trasmettere i propri geni. Ne è una prova il rospo comune (Bufo bufo), in cui i maschi hanno addirittura un richiamo specifico per segnalare a un altro maschio la situazione, portandolo così a mollare la presa, ma non si sono per così dire “disturbati” a evolvere una strategia diversa per scongiurare il tutto. Almeno per quanto ne sappiamo. Troviamo poi i delfini (più precisamente i tursiopi, Tursiops truncatus), i cui maschi si montano e cercano il contatto tra genitali in modo da rafforzare le alleanze tra piccoli gruppi e, nell’occasione, “fare pratica per i futuri incontri con le femmine”, scrivono su Trends in Ecology and Evolution Nathan W. Bailey e Marlene Zak, che hanno fatto un breve punto sulle specie più indicative nelle quali è stata studiata l’omosessualità.

Nonostante siano sempre di più gli animali non umani nei quali questi comportamenti sono stati osservati, abbiamo ancora molto da scoprire. Non sappiamo ancora molto riguardo alle conseguenze evolutive, sia che si tratti di circostanze una tantum, parte di un repertorio più ampio, sia che ci si trovi di fronte a casi come gli albatri delle Hawaii, in cui la maggioranza delle coppie è formata da due femmine che rimangono insieme a lungo termine, e “vivono la relazione” a tutto tondo, dal grooming reciproco al corteggiamento fino all’incubazione delle uova.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: Affinità bestiali, sesso e relazioni umane spiegate da quelle animali

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.

Condividi su
Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".