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Piccoli materiali per risolvere grandi sfide ambientali

Esistono materiali nanotecnologici in grado di ridurre l’impatto ambientale e favorire molti processi industriali. Definire la loro struttura atomica è indispensabile per costruire altri materiali, più precisi, e ottenere risultati di catalisi migliori.

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Le nanotecnologie possono essere utilizzate per creare nuovi materiali in grado di ridurre l’impatto ambientale e favorire molti processi industriali. Crediti immagine: Matteo Cargnello

RICERCANDO ALL’ESTERO – “I processi responsabili di gran parte di quello che succede nel mondo avvengono a livello di molecole molto piccole. Se vogliamo cambiare le cose dobbiamo fare ricerca su materiali altrettanto piccoli perché nonostante le loro dimensioni hanno grandi ripercussioni a livello mondiale. Questo è ciò che mi permette di svegliarmi ogni mattina e di cominciare a lavorare”.

Nome: Matteo Cargnello
Età: 31 anni
Nato a: Pocenia (UD)
Vivo a: Palo Alto (Stati Uniti)
Dottorato in: Nanotecnologie (Trieste)
Ricerca: Nanostrutture per la produzione di catalizzatori più efficienti e sostenibili
Istituto: Department of Chemical Engineering (Stanford, USA)
Interessi: andare in montagna, la natura in generale, uscire con gli amici
Di Palo Alto mi piace: l’organizzazione della città, la gente, il tempo, la bassa criminalità; l’aria che si respira qui dà la sensazione che tutto è possibile
Di Palo Alto non mi piace: il costo di vita è alto
Pensiero: Be yourself, everyone else is already taken (Oscar Wilde)

Come è possibile usare le nanotecnologie per ridurre le emissioni nocive?

L’idea è trovare dei materiali per far avvenire una serie di reazioni chimiche, importanti nel settore energia e ambiente, in condizioni non drastiche di basse temperature e basse pressioni.

Facciamo alcuni esempi: immaginiamo di voler convertire sostanze inquinanti in composti chimici inerti o addirittura interessanti dal punto di vista energetico ambientale. Potremmo pensare di trovare un materiale che prende un gas serra come l’anidride carbonica (CO2), rompe particolari legami chimici, ne forma altri e trasforma la molecola iniziale in benzina, da rimettere nella nostra macchina per andarcene a spasso. Oppure partire dal metano rilasciato dai motori di auto alimentati con questo gas e trasformarlo almeno in anidride carbonica, inquinante molto meno potente. Ma anche riuscire a convertirlo in molecole interessanti per l’industria chimica, come per esempio la plastica oggi fatta interamente da petrolio. Riuscire a usare il metano al posto del petrolio per produrre queste sostanze sarebbe un ottimo risultato, sia per una questione di costi, dato che soprattutto qui negli Stati Uniti ci sono grandi riserve di gas naturale, sia perché le emissioni di gas tossici rilasciati in questi processi di produzione sarebbero molto minori rispetto a quelli che utilizzano petrolio.

E per quanto riguarda la produzione di fonti energetiche rinnovabili?

Pensiamo a un’altra piccola molecola come l’idrogeno, usato ogni giorno come materiale di partenza nell’industria chimica mondiale in quantità di centinaia di tonnellate. È anche un promettente vettore energetico perché quando viene bruciato per ottenere energia, l’unico sottoprodotto della sua combustione è acqua. Il problema è che in natura si trova sempre legato ad atomi e molecole e non nello stato indispensabile per il suo utilizzo, che è quello di idrogeno molecolare. La nostra idea è riuscire a produrlo in modo sostenibile individuando un materiale che sfrutti composti considerati rinnovabili come le biomasse, ovviamente non quelle usate come cibo, e luce solare.

Un altro obiettivo della nostra ricerca è convertire l’azoto presente nell’aria e nell’acqua in ammoniaca. Anche l’ammoniaca è una molecola piccola e semplice ma incredibilmente importante per il pianeta, perché è uno dei principali fertilizzanti utilizzati in agricoltura: ogni giorno nel mondo vengono utilizzate milioni di tonnellate di ammoniaca, prodotte con consumo di combustibili fossili e di una grossa fetta dell’energia mondiale. Per rompere una molecola molto stabile come l’azoto, infatti, bisogna introdurre nei suoi legami molta energia, tanto che solo per produrre l’ammoniaca che destiniamo ogni anno a fertilizzante usiamo il 2% dell’energia dell’intero pianeta, un numero incredibilmente alto. Noi cerchiamo di studiare materiali che possano rompere la molecola di azoto e attivarla per formare ammoniaca in condizioni più blande, di basse temperature e basse pressioni.

Cosa mette in relazione tutte queste aree di studio?

La filosofia del nostro gruppo è costruire, con una precisione che definiamo atomici, materiali molto piccoli da utilizzare per capire come le reazioni catalitiche possono evolvere e da qui costruire nuovi materiali, più precisi e con risultati di catalisi migliori.

I materiali solidi che usiamo hanno strutture dell’ordine dei nanometri, cioè mille volte più piccole del diametro di un capello umano, e vengono costruiti prendendo singoli atomi messi in fila uno dopo l’altro tramite processi di sintesi chimica in soluzione. Usiamo molto i metalli di transizione, sia nobili che non nobili (rame, argento, oro, nichel, palladio, platino, ferro, cobalto, manganese), combinati in nanocristalli contenenti da poche decine a poche centinaia di atomi. Una volta messi più nanocristalli assieme e depositati su un materiale termicamente stabile, prepariamo strutture chiamate catalizzatori. Costruiamo vere e proprie librerie di catalizzatori che poi vengono fatte reagire con le varie sostanze chimiche nominate in precedenza per cercare di rompere alcuni legami chimici e formarne altri, fino a ottenere le molecole di nostro interesse. La cosa fondamentale è avere un controllo allo stato atomico di questi materiali e capire quali sono le connessioni tra la struttura da noi preparata e i risultati delle reazioni catalitiche che studiamo.

Avete già individuato materiali con strutture interessanti?

Tra le scoperte più recenti c’è la preparazione di bastoncini molto piccoli di ossido di titanio, materiale molto comune usato, per esempio, per disegnare le strisce pedonali sulle strade. Abbiamo dimostrato che quando questo materiale viene allungato, i cristalli assorbono la luce solare e creano specie reattive che possono reagire con molecole come l’etanolo rompendole in idrogeno e anidride carbonica. L’idrogeno è quell’idrogeno sostenibile di cui parlavo prima. Anche l’etanolo potrebbe essere sostenibile, per esempio quando deriva dalla fermentazione delle biomasse operata da alcuni batteri.

Qualche anno fa, abbiamo usato le nanotecnologie per costruire un materiale che convertisse il metano in CO2. Lo studio ha fatto molto scalpore perché ci sono molte possibilità di utilizzo del metano e di estrazione di energia da esso, ma le emissioni secondarie sono un grande problema perché anche pochissimo metano è molto pericoloso per l’ambiente. Le auto alimentate a metano necessitano di queste tecnologie per poter essere commercializzate.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?

Per i prossimi 5-6 anni continuerò a lavorare per risolvere alcuni dei più grandi problemi legati all’energia e all’ambiente che ci sono al giorno d’oggi, usando tecniche di nanotecnologia. Secondo me il futuro risiede nell’essere in grado di controllare la materia a livello di atomi e molecole.

Ci sono due possibili scenari per il futuro del pianeta: uno in cui scegliamo di continuare ad inquinare e a drenare le risorse naturali come facciamo oggi, con conseguenze catastrofiche; l’altro in cui decidiamo di tornare indietro nel tempo a quando non avevamo automobili, aria condizionata d’estate o riscaldamento d’inverno che producono gas serra. Il mio lavoro punta a combinare i benefici di entrambe per evitare di dover scegliere l’una o l’altra strada: garantire energia, e quindi prosperità, a più persone possibile, riducendo i livelli di inquinamento e offrendo la possibilità ai nostri figli di vivere in un mondo migliore.

Leggi anche: Sostenibilità ambientale: valutare l’impronta di prodotti e servizi

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.