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Vita sulla Terra dalle eruzioni solari? Una scintilla per liberare azoto

Paradosso del giovane Sole debole trova una spiegazione. La nostra stella era poco brillante, ma le eruzioni solari hanno "riscaldato" la Terra penetrando nell'atmosfera e liberando azoto

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Le tempeste solari potrebbero essere state responsabili del riscaldamento del nostro pianeta necessario per permettere l’evoluzione della vita. Crediti immagine: Nasa/Goddard Space Flight Center

RICERCA – Immaginate la Terra di 4 miliardi di anni fa, un pianeta giovanissimo e inospitale per la vita. La sua atmosfera era tossica e l’azoto, elemento fondamentale per la costruzione di RNA e DNA, era intrappolato nella sua forma meno reattiva, quella di molecola formata da due atomi. Come rompere questi legami e ottenere le condizioni ideali per la nascita della vita sulla Terra? Secondo Vladimir Airapetian, scienziato del Goddard Flight Space Center della Nasa, la risposta sta nelle eruzioni solari.

Airapetian e i suoi colleghi hanno pubblicato uno studio sulla rivista Nature Geoscience in cui hanno analizzato l’attività solare e i suoi effetti sulla Terra primordiale. Lo studio ha evidenziato come il Sole fosse meno brillante, circa il 30% in meno rispetto a oggi, ma riuscisse a riscaldare il pianeta con le sue tempeste elettromagnetiche, spiega in un comunicato l’autore dello studio: “A quei tempi la Terra riceveva solo il 70% dell’energia dal Sole rispetto a oggi. Questo significa che la Terra era una palla di ghiaccio. Al contrario però, le prove geologiche dello stesso periodo indicano che il pianeta era un globo caldo con acqua liquida, una condizione che chiamiamo Paradosso del giovane Sole debole. Le nostre ricerche ora dimostrano che le tempeste solari siano state le principali responsabili del riscaldamento del pianeta”.

Oggi la Terra è dotata di un potente campo magnetico, che fa da scudo all’atmosfera, ma 4 miliardi di anni fa il campo magnetico terrestre era estremamente debole, soprattutto ai poli, tanto che le aurore boreali erano visibili fino al Sud Carolina, come ha spiegato Airapetian.

La materia e le radiazioni portate dalle tempeste elettromagnetiche erano dunque in grado di interagire e penetrare il campo magnetico terrestre, fino a raggiungere l’atmosfera che era composta al 90% da azoto nella forma molecolare di diazoto (N2). Una percentuale ben superiore a quella del 78% che si registra oggi nell’atmosfera.

L’azoto veniva così liberato dalle radiazioni nella sua forma meno stabile, quella atomica, e riusciva a reagire con gli altri elementi presenti nell’atmosfera, come carbonio, idrogeno e ossigeno. Proprio con l’ossigeno, l’azoto si combinava formando molecole di ossido di azoto (NO), un gas serra che ha così permesso il riscaldamento del pianeta. In questo modo, nonostante la scarsa brillantezza solare, la temperatura ha permesso all’acqua sulla Terra di restare allo stato liquido, condizione fondamentale per lo sviluppo della vita.

Questa la conclusione a cui sono arrivati i ricercatori osservando stelle simili al nostro Sole, ma ancora molto giovani, in modo da definire quali siano le condizioni ottimali per la formazione a partire dagli “ingredienti” quali azoto, ossigeno, idrogeno e carbonio di molecole complesse quali RNA e DNA, da cui hanno avuto origine gli esseri viventi.

Quanto dista un pianeta dalla sua stella, quanto questa è potente e ancora quanto è potente la magnetosfera del pianeta: questi diventano quindi parametri fondamentali, grazie al lavoro di cui William Danchi della Nasa è co-autore, per valutare se un pianeta in una galassia vicina è abitabile o meno. Lo studio degli scienziati Nasa raggiunge così una doppia vittoria: raccontarci qualcosa in più sul nostro passato e su come è nata la vita sulla Terra, ma allo stesso tempo porre le basi per individuare nuovi mondi simili al nostro, dove la vita potrebbe essere possibile.

@oscillazioni

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Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.