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Le signore della primatologia

Le ricerche e le vite di Jane Goodall, Dian Fossey e Birutė Galdikas sono raccontate nel fumetto del 2015 Primati, di Jim Ottaviani e Maris Wicks

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Primati, il fumetto di Jim Ottaviani e Maris Wicks, racconta le vicende delle tre primatologhe Jane Goodall, Dian Fossey e Birutė Galdikas.

STRANIMONDI – Escursioni nelle foreste, ore di attesa sotto la pioggia, malattie tropicali, incidenti, bracconieri. La ricerca scientifica non è sempre fatta di laboratori, provette e libri, come dimostrano le vite avventurose di Jane Goodall, Dian Fossey e Birutė Galdikas, chiamate Trimates, per via della loro comune passione per lo studio dei primati. Una passione che Alfonso Lucifredi celebra nel suo libro A cosa pensava Darwin? – una raccolta di biografie di celebri naturalisti – dedicandone la prima parte proprio a queste tre donne, “grandi esempi di coraggio, dedizione, testardaggine e anche un po’ di incoscienza”.

Un buon esempio di queste caratteristiche è l’episodio dell’appendice, con il quale Lucifredi apre il primo capitolo del libro, dedicato a Birutė Galdikas. Canadese, nata in Germania da rifugiati lituani, a sedici anni Birutė seguì la famiglia in California, dove si iscrisse all’università per studiare psicologia, archeologia, zoologia e antropologia. Durante il dottorato conobbe il celebre ed eccentrico paleoantropologo Louis Leakey, al quale disse che voleva studiare gli orangutan. Lui accettò di mandarla nel Borneo, ma le disse anche che avrebbe dovuto farsi togliere l’appendice, poiché se si fosse infiammata nel bel mezzo della foresta avrebbe rischiato di morire di peritonite prima di poter raggiungere un ospedale. Birutė si disse disposta a farlo, e a farsi togliere anche le tonsille, anche se poi non lo fece.

Ma Dian Fossey sì. Aveva conosciuto Leakey alcuni anni prima, nel 1963, e nel 1966 lui l’aveva ingaggiata per andare a studiare i gorilla in Rwanda, dicendo anche a lei che avrebbe dovuto farsi togliere l’appendice. Senza esitazione, lei lo fece. Quando scoprì che Leakey non diceva sul serio e voleva solo testare la sua determinazione, era ormai troppo tardi. Un gesto che la dice lunga sul carattere della naturalista americana, che nel corso degli anni si distinse non solo per i meriti scientifici ma anche per la battaglia che combattè, spesso in prima linea, contro i bracconieri, e contro il turismo nelle aree selvagge. Ricerche e battaglie che conquistarono anche il grande schermo grazie al film Gorilla nella nebbia, con Sigourney Weaver nel ruolo della determinata Fossey, per la cui interpretazione vinse un Golden Globe e ricevette una nomination all’Oscar.

Leakey fu il punto di riferimento anche per Jane Goodall, inglese, da sempre affascinata dagli animali e dall’Africa, che fu dapprima sua segretaria e poi, nel 1960, venne mandata al parco nazionale di Gombe, in Tanzania, a studiare gli scimpanzé. Non è chiaro come si sia comportata lei a proposito dell’appendice. Quel che è certo è che fu la prima delle cosiddette Leakey’s Angels. Le Trimates, appunto, che nel corso degli anni divennero autorità indiscusse nell’ambito della primatologia.

Vite intense, costellate di lotte, sforzi e sacrifici. Vite perfette per essere raccontate, come succede in Primati, pubblicato nel 2015. Il fumetto di Jim Ottaviani e Maris Wicks si apre proprio con Jane Goodall, tramite la quale incontriamo per la prima volta l’eccentrico Leakey, per poi passare a Dian Fossey e infine a Birutė Galdikas, narrando i loro appostamenti, la raccolta dei campioni e le loro deduzioni, ma anche i loro rapporti personali e gli aneddoti (come quello dell’appendice), le vittorie e le sconfitte. L’unica cosa che il fumetto non racconta – limitandosi a un velatissimo riferimento – è la tragica fine di Dian Fossey, brutalmente uccisa nel dicembre del 1985 a colpi di machete. Nessun responsabile fu mai identificato e diverse teorie sono state formulate per spiegare la sua morte, molte delle quali hanno a che fare con la sua lotta contro i bracconieri.

Questa mancanza non sminuisce comunque il grande merito di Primati, cioè la capacità di raccontare lo studio sul campo, fatto di pazienza, empatia, spirito di osservazione, rigore, dedizione, senza mai scivolare nel didascalico e senza mai sacrificare il ritmo narrativo della storia, riuscendo così a trasmettere la grandezza di queste tre scienziate, sia dal punto di vista scientifico sia da quello personale.

Leggi anche: La salvezza dei gorilla di montagna sta nel DNA

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.

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Michele Bellone
Sono un giornalista e mi occupo di comunicazione della scienza in diversi ambiti. I principali sono la dissemination di progetti europei, in collaborazione con Zadig, e il rapporto fra scienza e narrativa, argomento su cui tengo anche un corso al Master di comunicazione della scienza Franco Prattico della SISSA di Trieste. Ho scritto e scrivo per Focus, Micron, OggiScienza, Oxygen, Pagina 99, Pikaia, Le Scienze, Scienzainrete, La Stampa, Il Tascabile, Wired.it.