POLITICA

La biopirateria: il caso ecuadoriano

Stati Uniti , Germania, Paesi Bassi, Australia e Corea del Sud: i cinque Paesi che avrebbero chiesto il maggior numero di brevetti per prodotti derivanti dalle risorse endemiche dell’Ecuador.

Il Protocollo di Nagoya è formato da due accordi internazionali che hanno l’obiettivo di promuovere la giusta ed equa condivisione dei benefici che derivano dall’utilizzazione delle risorse genetiche. Crediti immagine: Le mashk, Wikimedia Commons

POLITICA – L’Ecuador accusa alcuni tra i più importanti Paesi industrializzati di essere dei biopirati e di aver usato impropriamente il patrimonio genetico ecuadoriano. Questo è quando emerge da un report, pubblicato a fine Giugno dalla nazione centroamericana, che punta il dito soprattutto su Stati Uniti , Germania, Paesi Bassi, Australia e Corea del Sud, i cinque Paesi che avrebbero chiesto il maggior numero di brevetti per prodotti derivanti dalle risorse endemiche dell’Ecuador.

I Paesi identificati come biopirati sarebbero responsabili di 113 richieste di brevetti sulle 128 identificate dal report. Come ha spiegato durante la presentazione del rapporto Renè Ramirez, capo del dipartimento della scienza, della tecnologia e dell’innovazione dell’Istituto nazionale per la proprietà intellettuale, nessuno di questi Paesi ha chiesto l’autorizzazione all’Ecuador per l’accesso alle sue risorse genetiche utilizzate in questi brevetti. Secondo quanto riportato da Scidev, lo Stato ha intenzione di chiedere l’annullamento dei brevetti derivanti dall’uso improprio delle proprie risorse genetiche. Tra le specie vegetali endemiche che sono state maggiormente oggetto di biopirateria figurano: il tomatillo (Solanum cheesmaniae), la zucca ecuadoriana (Cucurbita ecuadorensis) e il cotone di Darwin (Gossypium darwinii), da sempre apprezzato per la sua naturale resistenza ai parassiti.

La biodiversità, chiave del sistema economico

L’importanza economica della biodiversità era stata sottolineata anche durante il Forum Internazionale della Biodiversità del 2014: da essa dipendono servizi ecosistemici preziosi come la regolazione delle acque, il clima, la prevenzione dell’erosione, basi per un adeguato sviluppo del turismo. L’Ecuador possiede uno dei più alti tassi di biodiversità del pianeta: è al terzo posto per il numero di specie anfibie (537 specie), quinto per gli uccelli (1.515 specie), ottavo per i rettili (439 specie), nono in termini di piante vascolari; e diciassettesimo per i mammiferi (341 specie, dati della World Conservation). Un caso esemplificativo della ricchezza ecosistemica ecuadoriana rimane il fungo scoperto da Scott Trobel, professore di biochimica molecolare all’Università di Yale, che possiede la naturale capacità di degradare il poliuretano. Esistono molti studi che legano la ricchezza di biodiversità all’efficienza del sistema economico: l’ultimo, in ordine di tempo, riguarda una ricerca condotta dal Noaa che ha stimato il valore economico di una data regione oceanica.

Il protocollo di Nagoya

La chiave di quanto accaduto all’Ecuador sta nella ratifica del Protocollo di Nagoya, due accordi internazionali che hanno l’obiettivo di promuovere la giusta ed equa condivisione dei benefici che derivano dall’utilizzazione delle risorse genetiche, incluso l’appropriato accesso alle risorse genetiche e l’adeguato trasferimento delle relative tecnologie, tenendo in considerazione tutti i diritti su risorse, tecnologie e fondi, contribuendo in tal modo alla conservazione della diversità biologica e all’uso sostenibile dei suoi componenti. Il protocollo è stato firmato da 92 Stati e ratificato da 78.  Ciò che è importante sottolineare, in questo contesto, è che trattati internazionali come il protocollo di Nagoya, che pur costituiscono uno dei principali strumenti del diritto internazionale, non hanno forza vincolante per lo Stato che li firma, ma solo in fase di ratifica. Il nostro Paese, ad esempio, ha firmato l’accordo e la fase di ratifica è ora in corso di attuazione (sulla questione, si è già espressa ad esempio Assosementi, preoccupata che l’applicazione del trattato al settore sementiero possa disincentivare gli investimenti in ricerca e innovazione delle piccole medie imprese).

Ma quindi, alla luce delle caratteristiche del Protocollo, le accuse mosse dall’Ecuador risultano fondate?

«I Paesi che non hanno ancora ratificato il Trattato, non sono obbligati ad adeguarsi a quanto previsto da esso”, spiega Fernando Leonini, Professore associato di diritto ed economia delle banche e dei mercati finanziari all’Università Cattolica di Milano. “I Paesi possono essere definiti biopirati solo se aderiscono al protocollo. Come precisa il trattato, per utilizzazione  delle risorse genetiche si intendono le attività di ricerca e sviluppo sulla composizione genetica o chimica di animali, piante e microrganismi. Si includono comunque sia lavori di ricerca di base che l’attività di sviluppo, nonché la commercializzazione. Come per la legge italiana sui brevetti, anche il Protocollo di Nagoya impone di chiarire la fonte del materiale genetico utilizzato per una attività di ricerca e sviluppo. Secondo quanto previsto dall’articolo 6, l’accesso alle risorse genetiche ai fini della loro utilizzazione è subordinato al consenso informato preventivo della parte che mette a disposizione tali risorse, vale a dire del paese di origine delle risorse stesse. Potremmo parlare in questo caso di una pirateria lecita: non aderendo alla Convenzione,  gli Stati non possono essere accusati di biopirateria».

Tra i Paesi a cui l’Ecuador muove le principali accuse, solo la Germania ha ratificato il protocollo. Corea del Sud, Australia, Stati Uniti e Olanda non hanno ancora provveduto ad aderire in modo completo al trattato internazionale.

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Sara Moraca
Dopo una prima laurea in comunicazione e una seconda in biologia, ho frequentato il Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste. Da oltre dieci anni mi occupo di scrittura: prima come autore per Treccani e De Agostini, ora come giornalista per testate come Wired, National Geographic, Oggi Scienza, La Stampa.