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Barriere coralline e pesci: un legame a doppio filo

L'ecosistema di barriera è delicato e complesso: l'urina dei grandi pesci riveste un ruolo fondamentale per la sua crescita e sostentamento

I dati hanno confermato che la presenza di grandi pesci predatori garantisce alle barriere coralline una quantità di nutrienti sufficienti per il mantenimento di un ecosistema sano. Crediti immagine: Pixabay

AMBIENTE – La vita delle barriere coralline e quella delle specie che le popolano sono strettamente legate. Infatti, non solo pesci e altri animali hanno adattato le proprie caratteristiche fisiche e gli stili di vita in conformità a questo habitat, ma anche la sopravvivenza dei coralli dipende per buona parte dalla loro presenza. Questo è quanto emerge da uno studio pubblicato su Nature Communication, che mette in luce come le deiezioni dei pesci costituiscano un mattone fondamentale per la crescita e la sopravvivenza delle barriere. I pesci, urinando, liberano grandi quantità di fosforo nell’acqua e dalle branchie espellono ammonio: due sostanze fondamentali per la crescita dei coralli.

Lo studio appena pubblicato dimostra che, nei tratti di barriera corallina dove si svolgono attività di pesca,  queste due sostanze non sono presenti nell’ecosistema. Il motivo principale, secondo i ricercatori, è proprio la ridotta concentrazione di pesci nell’habitat e la conseguente riduzione del fosforo e dell’ammonio che da questi derivano.

“La barriere coralline riescono a sopravvivere soprattutto grazie alla presenza di animali, che svolgono un fondamentale ruolo nel  trasporto e nel riciclo di sostanza nutritive”, spiega in un comunicato  Jacob Allgeier, ricercatore di scienze marine e della pesca all’Università di Washington. “Se si porta un pesce fuori dalla barriera corallina, si eliminano tutte le sostanze nutritive che produce e ricicla”, continua.

Gli autori dello studio hanno osservato 143 specie di pesci in 110 siti diversi, ubicati in 43 differenti barriere coralline nei Caraibi. Le aree sono state selezionate per avere un campione rappresentativo dei vari tipi di pressione esercitabile sulle specie pescate:  in alcune zone c’era il divieto di pesca, in altre era consentita la cattura persino dei grandi predatori.

I dati hanno confermato che la presenza di grandi pesci predatori garantisce alle barriere coralline una quantità di nutrienti sufficienti per il mantenimento di un ecosistema sano, mentre laddove queste specie scarseggiano la quantità di nutrienti scende drasticamente del 50% circa. Come spiegano i ricercatori, il numero complessivo di specie presenti non diminuisce drasticamente. Il crollo della presenza di sostanze nutritive è però legato alla pesca di alcuni pesci di grossa taglia come cernie, dentici o barracuda, che vengono catturati con tecniche di pesca selettiva. All’assenza di questi pesci predatori si deve la diminuzione di urina dispersa nell’acqua, fonte indispensabile delle sostanze che alimentano il ciclo di vita dei coralli.

È stato uno studio pubblicato su Science nel 1980 a ispirare la ricerca di Allgeier: in questa ricerca si dimostrava che le barriere coralline caratterizzate dalla presenza di vita animale potevano crescere molto più velocemente (fino al doppio della velocità) rispetto a quelle dove i pesci erano assenti.  Allgeier ha trascorso quattro anni a studiare la quantità di nutrienti contenuti nell’urina e nei tessuti dei pesci, per poi costruire un enorme dataset: sulle Abaco Islands, divenute il suo laboratorio, catturava i pesci vivi, li metteva in alcuni sacchetti di plastica per mezzora e misurava poi la quantità di nutrienti presenti. Grazie a queste prove, il ricercatore ha avuto la conferma che la quantità di fosforo e ammonio non solo varia in base alla dimensione della specie considerata, ma i pesci carnivori ne producono di più rispetto agli erbivori. Grazie ai modelli creati, Allgeier è in grado di conoscere ora la quantità di nutrienti prodotti in una data barriera corallina, partendo dalle specie presenti.

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Sara Moraca
Dopo una prima laurea in comunicazione e una seconda in biologia, ho frequentato il Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste. Da oltre dieci anni mi occupo di scrittura: prima come autore per Treccani e De Agostini, ora come giornalista per testate come Wired, National Geographic, Oggi Scienza, La Stampa.