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NanoPE: il tessuto anticaldo

In un epoca di riscaldamento globale e di lotta alle emissioni un tessuto del genere potrebbe contribuire a ridurre il consumo energetico.

I copricapi e le tuniche dei popoli che vivono nelle zone più calde del pianeta spesso sono pensati proprio con questo scopo, ma con risultati decisamente limitati. Crediti immagine: Pixabay

RICERCA – Vestirsi per tenersi al fresco, sembra decisamente un controsenso. Idea che, però, potrebbe essere sovvertita grazie a un tessuto studiato alla Stanford University capace di riflettere la luce del sole e di disperdere il calore corporeo. Non sarà un addio alla sensazione di caldo, ma la scoperta, presentata sulla rivista Science, potrebbe rivelarsi se non altro un valido sollievo nella calura estiva.

I vestiti sono stati pensati da sempre con lo scopo principale di coprirsi o di tenere caldi. L’effetto contrario, quello di rinfrescare, invece rappresenta una sfida difficile. I copricapi e le tuniche dei popoli che vivono nelle zone più calde del pianeta spesso sono pensati proprio con questo scopo, ma con risultati decisamente limitati. Il problema è che alla temperatura di 34 °C il nostro corpo emette principalmente nella lunghezza d’onda dei medi-infrarossi. Questa radiazione trasporta il calore e permette all’energia termica del nostro corpo di disperdersi.

I vestiti opachi alla luce visibile sono però opachi anche a questa radiazione, bloccandola e non permettendole di diffondersi nell’ambiente. Se questo effetto è sicuramente desiderato in una fredda notte d’inverno di sicuro non lo è in un caldo giorno estivo di afa. La soluzione al problema è ovviamente un materiale che sia opaco alla luce visibile, ma trasparente negli infrarossi, concetto semplice a parole, ma finora inattuabile dal punto di vista tecnico.

Tuttavia le nanotecnologie, ovvero la possibilità di manipolare la materia a livello molecolare o atomico, nel corso degli ultimi anni ci hanno permesso di progettare e produrre materiali dalle caratteristiche desiderate sempre più evoluti, l’arma perfetta per la sfida di un tessuto rinfrescante.

Così Po-Chun Hsu, Yi Cui e i colleghi del team hanno individuato tra i tanti tessuti sviluppati negli ultimi anni uno che potesse avere le caratteristiche adatte, il polietilene a nanopori (nanoPE), e hanno testato la sua capacità di far passare la radiazione infrarossa. Questo materiale ha dei pori con dimensioni che vanno dai 50 ai 1000 nanometri (miliardesimi di metro). Questa grandezza è comparabile con la lunghezza d’onda della luce visibile, ma è molto minore di quella della radiazione infrarossa col risultato di di bloccare la prima ed essere trasparente alla seconda.

Testando il nanoPE, in effetti, i ricercatori hanno riscontrato che consente il passaggio del 96% della radiazione infrarossa a fronte dell’1,5% del cotone. Il polietilene normale, d’altra parte, ha uno livello analogo di trasparenza agli infrarossi, ma blocca appena il 20% della luce visibile, nettamente sovrastato dal 99% del nanoPE. Dagli esperimenti con un dispositivo che mima l’emissione termica della pelle umana è emerso che la presenza di nanoPE comportava un aumento solo di 0,8°C a fronte dei 3.5°C del cotone e dei 2,9°C del polietilene comunemente in commercio. I ricercatori, inoltre, sono riusciti a migliorare le capacità del nanoPE di disperdere l’umidità, uno dei punti deboli del polietilene normale, tramite una tecnica di perforazione con un micro-ago e rivestendo il materiale con un agente idrorepellente.

In un epoca di riscaldamento globale e di lotta alle emissioni un tessuto del genere potrebbe rivelarsi un vero toccasana contribuendo, ad esempio, a ridurre il consumo energetico dovuto ai condizionatori e potrebbe essere usato anche per migliorare la gestione termica di tende, edifici e veicoli. Ora non rimane che sperare che arrivi in commercio il prima possibile.

Leggi anche: Caldo? Un glossario per capirlo

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale