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Quando il vulcano sorse dal nulla

Il 6 ottobre 1538 con un ultima esplosione che fece 24 morti terminava l'eruzione che in una settimana, dove prima c'erano un villaggio e delle rovine romane, aveva portato alla formazione di Monte Nuovo. L'eruzione fu l'ultima dei Campi Flegrei, ma la minaccia di eventi simili nella zona è alta.

Il lago Lucrino con alle spalle il verdeggiante cono vulcanico di Monte Nuovo, nei pressi di Pozzuoli. La formazione del Monte Nuovo, unita all’innalzamento del livello del suolo, ha contribuito alla chiusura dell’insenatura antistante dando così origine al lago. Crediti immagine: yiftah-s, Wikimedia Commons

APPROFONDIMENTO – Pochi sanno che la villa di Cicerone nei pressi di Pozzuoli (NA) oggi si ritrova al di sotto di una collina alta 132 m, insieme a un castello, a un paese e a vecchie rovine di terme e ville romane. Come ci sono finiti lì sotto?

“Tra le 3 e le 4 di oggi pomeriggio un’improvvisa esplosione annunciatasi con un boato e una grossa nuvola nerastra ha colto di sorpresa chi si era avventurato sull’incredibile montagna sorta dal nulla negli ultimi 6 giorni di eruzione. Molte sono state le vittime: il bilancio parla di 24 morti. Purtroppo la calma sopraggiunta negli ultimi 2 giorni aveva dato troppa fiducia e molti incauti curiosi si erano recati nei pressi della bocca eruttiva convinti che non ci fosse più pericolo. L’esplosione è stata isolata e si spera che sia stata l’ultima. Ora il nuovo vulcano sembra essersi definitivamente acquietato. A sei giorni di distanza dall’inizio del prodigioso evento, il bilancio è molto grave. L’intero villaggio di Tripergole è stato cancellato e con esso il suo castello, mentre la villa di Cicerone e le numerose terme romane delle zona sono andate perdute per sempre”.

Questo è quanto avremmo potuto sentir raccontare la sera del 6 ottobre del 1538 a un ipotetico cronista locale sugli eventi che avvennero quel giorno nella zona dei Campi Flegrei (nome che significa campi ardenti) nelle vicinanze di Pozzuoli e dell’attuale lago Lucrino. L’eruzione di cui si parla non ha nulla a che vedere col vicino Vesuvio. Quella che nel 1538 portò alla nascita del Monte Nuovo infatti, è stata l’ultima eruzione prodotta dall’altro grande (e ben più pericoloso) vulcano della zona, quello dei Campi Flegrei.

Le numerose testimonianze e la grande documentazione prodotta in qui giorni molto tempo dopo forniranno un grande contributo nel dibattito scientifico attorno alla vulcanologia e al meccanismo con cui i nascono i vulcani e avvengono le eruzioni.

L’area flegrea è una delle zone dove il fenomeno del bradisismo (l’innalzarsi o abbassarsi del terreno) è particolarmente evidente. A partire dall’età romana l’intera zona fu interessata da una forte abbassamento del terreno durato fino attorno all’anno 1000 che comportò un arretramento della linea di costa e la sommersione di tutte le strutture costiere tanto che il mare attraverso l’insenatura attualmente costituita dal lago Lucrino arrivò a raggiungere il lago Averno. A questo proposito oggi osservando le colonne del tempio di Serapide che sorge in riva al mare a Pozzuoli è possibile notare come siano state intaccate dalle conchiglie fino a un’altezza di 6,3 m limite che quindi rappresenta il massimo livello di abbassamento. Nei secoli successivi all’anno 1000, tuttavia, il movimento del suolo si invertì, portando alla progressiva emersione delle zone precedentemente sommerse, fino a diventare chiaramente percepibile all’inizio del ‘500. Questo movimento fu accompagnato da due violenti terremoti, uno nel 1456 e uno nel 1488. L’ultima eruzione nella zona risaliva al 1301 ma si era verificata sull’isola di Ischia. Nella zona flegrea, invece, non ve ne erano da oltre 3000 anni, cioè da quando cessò l’attività che portò alla formazione del cratere degli Astroni. Era perciò molto difficile immaginare ciò che stava per succedere.

Dal 1511 l’attività sismica si fece sempre più intensa, in particolare nei due anni che precedettero l’eruzione, con numerose scosse che interessarono l’intera provincia di Napoli. In particolare, nei giorni prima dell’inizio dell’attività eruttiva, lo sciame sismico si fece intensissimo con decine di scosse al giorno. Quello che oggi metterebbe in serio allarme la popolazione, all’epoca non fece presagire nulla. Così, quando il 28 settembre 1538 verso mezzogiorno il mare si ritirò all’improvviso di 300 m nei pressi del villaggio di Tripergole, che si affacciava sull’allora baia di Lucrino, nel comune di Pozzuoli, gli abitanti si limitarono semplicemente a recarsi con i carretti a fare incetta dei pesci lasciati agonizzanti dalla ritirata delle acque.

Il giorno successivo nella vallata tra il monte Barbaro e il lago Averno si era cominciato ad aprire un avvallamento dove era iniziata a scorrere acqua e in questo avvallamento verso metà giornata cominciò a formarsi un bozzo. Questo bozzo crebbe durante la giornata e vi si aprirono dei crepacci fino a quando, a sera, la cima collassò e iniziò l’eruzione. Dove il giorno prima c’era campagna iniziarono a fuoriuscire lapilli, cenere, fumo accompagnati da forti boati. Il 30 settembre la vicina Pozzuoli, investita dall’eruzione viene abbandonata, mentre verso il mare il villaggio di Tripergole viene sepolto dal materiale eruttato, così come la villa di Cicerone e le antiche terme romane della zona.

L’eruzione continua in modo intenso fino al giorno successivo per poi cominciare a calare di intensità, tanto che già il 2 ottobre qualcuno riesce a recarsi sul bordo del cratere: quello che sarà chiamato “Monte Nuovo” si era già quasi del tutto formato. Nei giorni successivi infatti si assiste solo a due momenti di attività intensa, una il 3 ottobre con una breve eruzione molto violenta e un’altra il 6 con un’improvvisa esplosione. Proprio quest’ultimo episodio colse di sorpresa chi, ingannato dai due giorni di calma del vulcano, si era recato sul bordo del cratere, facendo 24 morti. Da allora nell’area flegrea non vi è più stata alcuna attività se non quella fumarolica tipica dell’area, e in particolare della Solfatara. Il suolo cominciò una fase di abbassamento che andò avanti fino al 1970. Il movimento si invertì bruscamente fino al 1985 con un forte innalzamento seguito poi da una nuova discesa invertitasi di nuovo nel 2005. Negli ultimi quarant’anni vi sono stati anche diversi sciami sismici insieme ad alcune crisi che hanno suscitato molto allarme nella popolazione, l’ultimo dei quali proprio durante l’estate appena passata. La nascita del Monte Nuovo contribuì anche a chiudere l’insenatura di Lucrino e a formare un lago.

Sebbene al momento non vi siano segnali di una imminente eruzione, i cambiamenti continui e repentini del livello del suolo, i terremoti e la consueta attività fumarolica e geotermale ci ricordano che i Campi Flegrei sono un vulcano tutt’ora attivo ed estremamente pericoloso, ben più di qualsiasi altro vulcano in Italia. La zona, infatti, è densamente abitata come nel caso del Vesuvio e interessa direttamente i quartieri occidentali di Napoli, con la differenza però che i centri abitati non sono costruiti sulle pendici, bensì direttamente sulla caldera del vulcano. Il problema maggiore tuttavia non è questo, ma il fatto che i Campi Flegrei sono un supervulcano, addirittura uno dei più pericolosi al mondo. Il termine supervulcano non ha un valore scientifico, ma indica i vulcani con indice di esplosività vulcanica (VEI) superiore a 7, cioè capaci di eruttare oltre 100 km cubi di materiale.

In particolare i Campi Flegrei in un eruzione avvenuta circa 40.000 anni fa eruttarono oltre 200 km cubi di materiale ricoprendo la zona circostante di uno strato di tufo spesso 50 m e formando una caldera che occupa tutta l’area. Fenomeni di questo tipo avvengono quando l’intera crosta al di sopra della camera magmatica collassa portando a una super eruzione. Non fu la sola zona di Napoli, però, a essere devastata dall’eruzione, né la sola Campania. Eruzioni di questa potenza infatti sono in grado di interessare aree vastissime e modificare l’intero clima terrestre per diversi anni (si calcola che l’eruzione fece abbassare la temperatura globale di circa due gradi). Fu l’intero territorio italiano, quindi, a essere interessato dall’eruzione. Basta pensare che i resti delle ceneri sono stati ritrovati persino in Europa centrale e in Ucraina o nei ghiacci della Groenlandia.

A fronte di una tale eruzione, quella che formò Monte Nuovo è insignificante, ma è una testimonianza del tipo di attività più comune e modesta del vulcano. In ogni caso una classifica dell’università di Manchester ottenuta combinando le caratteristiche dei vulcani con la zona in cui sono situati, ha posto i Campi Flegrei al terzo posto tra i più pericolosi al mondo. Secondo i vulcanologi il rischio di eruzione è possibile in qualsiasi momento, tanto che negli ultimi anni sono stati monitorati diversi movimenti di bolle di magma nel sottosuolo ad appena 3 km di profondità, che hanno portato il terreno a sollevarsi di diversi cm nel periodo 2012-2013. Fenomeni più recenti invece sono stati attribuiti alla pressione dell’acqua nel sottosuolo, ma l’allerta è ormai al livello giallo, ovvero al livello di attenzione.

Di recente è stata segnalata anche la scoperta di un duomo (ovvero un ringonfiamento) sottomarino a 5 km dalla costa tra Napoli e Pozzuoli, cosa che ricorda che nell’area anche le eruzioni sottomarine sono possibili. La zona è da diversi anni anche oggetto di una diatriba sull’opportunità di fare trivellazioni sia a scopo scientifico, sia per produrre energia geotermica. Il timore di alcuni è che sia troppo alto il rischio di compremettere il delicato equilibrio che regola un vulcano tanto pericoloso. Della controversa questione se ne è occupata di recente anche la BBC.

A fronte della possibilità di un’eruzione decisamente più imminente rispetto al Vesuvio e a fronte anche di una maggiore popolazione direttamente interessata, non esistono attualmente piani di evacuazione. Inoltre i meccanismi che mettono in moto le eruzioni di vulcani di questo tipo non sono ancora ben conosciuti, come per il Vesuvio o l’Etna: i vulcanologi potrebbero trovarsi sorpresi dagli eventi perché evacuare in poco tempo fino a 4 milioni e mezzo di persone appare un’impresa quantomeno improbabile. La questione è di responsabilità della Protezione Civile, che dovrebbe redigere un piano di intervento, di informazione e di formazione della popolazione. Ad oggi in caso di pericolo nessuno saprebbe cosa fare.

Leggi anche: I dati e la capacità di prevedere eventi vulcanici

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale