ricercaSALUTE

I farmaci generici, 20 anni dopo

Il mercato dei farmaci generici in Italia è attestato sul 35% del totale delle vendite, ben al di sotto della media europea. Perché?

Per essere approvato, il farmaco generico deve dimostrare l’equivalenza terapeutica con il farmaco cosiddetto “brand”, e per fare ciò si eseguono opportune ricerche cliniche comparative volte a dimostrane l’equivalenza terapeutica. Crediti immagine: katicaj, Pixabay

SALUTE – Lo scorso mercoledì si è svolta a Roma l’Assemblea pubblica di Assogenerici, l’associazione che riunisce le aziende che producono e commercializzano i cosiddetti farmaci generici, o equivalenti, che quest’anno celebrano il ventennale dell’entrata in commercio sul mercato italiano. È stata l’occasione per riflettere, insieme ad associazioni di cittadini e pazienti, istituzioni e portatori di interesse, sull’importanza di questa tipologia di medicinali a livello del singolo individuo ma anche da un punto di vista collettivo e di sistema sanitario nazionale.

È innanzitutto fondamentale definire cosa sia un farmaco generico, o equivalente, e per fare ciò è cruciale ripercorrere, molto sinteticamente, l’iter affrontato da un medicinale prima che esso sia disponibile ai cittadini. Innanzitutto deve essere identificato il principio attivo, ossia la sostanza ad azione terapeutica, su cui il medicinale si baserà. Cominciano quindi una serie di sperimentazioni, rigidamente controllate da Enti regolatori certificati (in Italia questo incarico è svolto dall’AIFA) che stabiliscono l’efficacia e la sicurezza di tale sostanza. Al termine di questi accertamenti il farmaco ottiene dalla stessa AIFA, l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC). Tuttavia, aspetto fondamentale per la salute e la sicurezza dei pazienti, su di esso continua l’attività di monitoraggio e controllo necessaria per individuare eventuali effetti indesiderati non emersi precedentemente, potendo così attuare le opportune strategie di prevenzione e intervento. Come la stragrande maggioranza dei beni di consumo, anche un nuovo farmaco è dotato di un brevetto, che inizialmente ne permette la commercializzazione solo all’azienda che l’ha prodotto. In Italia questo brevetto dura vent’anni, al termine del quale altri produttori possono “replicare” il medicinale contenente uno specifico principio attivo, creando così i cosiddetti farmaci equivalenti, o generici.

Per essere approvato, il farmaco generico deve dimostrare l’equivalenza terapeutica con il farmaco cosiddetto “brand”, e per fare ciò si eseguono opportune ricerche cliniche comparative volte a dimostrane l’equivalenza terapeutica: gli studi di bioequivalenza sono basati sul confronto statistico di parametrici farmacocinetici, come la biodisponibilità, tra brand e generico. In sostanza il presupposto, elaborato sui dati di letteratura relativi alla variabilità inter-individuale di risposta a un farmaco, è che se due farmaci hanno la stessa biodisponibilità saranno anche bioequivalenti, e anche equivalenti dal punto di vista terapeutico (almeno per quanto riguarda una popolazione, o gruppo ampio di pazienti). Il metodo più facile per garantire questo presupposto è che il farmaco generico contenga una quantità di principio attivo uguale all’originale: per legge, questo valore varia dal 95% al 105%, considerando come valore unitario la quantità di principio attivo del brand.

Quello che la legge non regolamenta, invece, è il tipo e la quantità di eccipienti che possono essere associati al principio attivo: ogni farmaco, infatti (sia esso “di marca” o equivalente) contiene delle sostanze, che non rivestono il ruolo terapeutico del principio attivo ma che contribuiscono a definire l’aspetto delle diverse forme farmaceutiche e le modalità di interazione tra esse e il/i target all’interno del nostro corpo. Sono eccipienti, ad esempio, i coloranti, gli edulcoranti, gli aggreganti o i leganti, fondamentali per tenere coese le varie sostanze all’interno di forme farmaceutiche come le capsule o le pastiglie. I problemi legati a queste sostanze additive sono essenzialmente di due tipi: innanzitutto una persona può manifestare intolleranza o allergia nei confronti di uno degli eccipienti, presente nell’equivalente e assente nel farmaco originale; inoltre, a differenza di quanto si pensava in passato, alcuni materiali usati come eccipienti nella preparazione dei medicinali modificano il rilascio del principio attivo nell’organismo: questa proprietà può causare effetti indesiderati conseguenti all’assunzione del farmaco, soprattutto per determinate patologie che vanno a modificare il normale metabolismo.

Per esempio il glucosio, usato comunemente come eccipiente, è potenzialmente pericoloso per pazienti affetti da diabete, che quindi dovranno controllare attentamente il foglietto illustrativo del farmaco che si stanno apprestando ad assumere. Per questo motivo è caldamente consigliato, soprattutto in caso di patologie croniche, comorbilità importanti o fasce d’età particolarmente sensibili (neonati e anziani), rivolgersi sempre al proprio medico curante o al proprio farmacista, che sarà a conoscenza di tutte le informazioni necessarie per compiere una scelta sicura e certificata. Anche le modifiche nella composizione e quantità degli eccipienti, infatti, sono strettamente regolamentate e riportate nella documentazione ufficiale collegata a ogni prodotto farmaceutico in circolazione. Infine, è giusto segnalare che esistono equivalenti più equivalenti degli altri: in questi casi la composizione del medicinale generico è identica, in tutto e per tutto (eccipienti compresi, quindi) al farmaco originale. Solitamente questi farmaci sono prodotti dalla stessa casa farmaceutica che ha creato l’originale: una volta scaduto il brevetto ne ha semplicemente “creato” una versione generica, modificando il nome commerciale.

Nonostante queste rassicurazioni, il mercato dei farmaci generici in Italia è attestato sul 35% del totale delle vendite, quando invece la media europea è molto più alta. Perché? Le ragioni di questa diffidenza sono molteplici, ma sembrano avere come comun denominatore una comunicazione fuorviante nei confronti del grande pubblico: l’intrinseca difficoltà collegata ai concetti di biodisponibilità, principio attivo, bioequivalenza ed eccipienti crea il presupposto a facili fraintendimenti (una delle critiche più comuni, ad esempio,  è che i “i generici contengono il 20% del principio attivo rispetto all’originale”). Proprio per far fronte a questi problemi di comunicazione, già a fine 2015 l’AIFA ha rilasciato un documento destinato anche al grande pubblico completamente dedicato ai farmaci generici. Ne abbiamo parlato qui.

A questa confusione e generale diffidenza di fondo si aggiunge una questione di squisita natura semantica: il nome “generico”, che evoca nella mente di molti utenti e pazienti l’idea di un prodotto poco affidabile, sicuro ed efficace. Dopo vent’anni i dati che inducono alla conclusione opposta esistono eccome, e un cambio di rotta sembra non solo è auspicabile bensì, in un periodo caratterizzato da tagli continui al reparto socio-sanitario, addirittura necessario. È stato calcolato, infatti, che solo nel 2016 uno switch a favore dell’equivalente avrebbe fatto risparmiare, a livello nazionale, più di 800 milioni di euro.

Leggi anche: La danza molecolare dei farmaci

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Marcello Turconi
Neuroscienziato votato alla divulgazione, strizzo l'occhio alla narrazione digitale di scienza e medicina.