SCOPERTE

Quel legame tra suono e significato nelle parole

Studiando più di 6000 lingue diverse, un gruppo di ricercatori ha osservato un'associazione ricorrente tra suono e significato in alcune parole di uso comune, come naso e foglia.

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L’associazione tra suono e significato nelle parole potrebbe non essere completamente arbitraria. Crediti immagine: Public Domain

SCOPERTE – Le parole di una lingua – sia essa neolatina o germanica, polinesiana o precolombiana, o appartenente a uno dei 2000 linguaggi parlati in africa – sono contraddistinte da un suono e da un significato. Tradizionalmente questi due elementi sono visti come due aspetti distinti, indipendenti fra loro. La pensa così la maggior parte dei linguisti, rifacendosi al modello classico che presuppone che il rapporto tra il suono di una parola e il suo significato sia arbitrario.

Un nuovo studio, frutto della collaborazione tra linguisti, psicologi e informatici, costringe a mettere seriamente in dubbio questa visione. Gli autori, provenienti da diverse università e centri di ricerca internazionali, hanno raccolto informazioni su un ricco campione di lingue appartenenti all’intero patrimonio umano, corrispondente al 62% di tutte le lingue attuali conosciute, circa 6000. Dopo aver selezionato un centinaio di parole di uso comune all’interno di ogni lingua, hanno analizzato l’occorrenza e le associazioni di diversi fonemi, cioè le unità sonore presenti nel linguaggio.

Le analisi statistiche – pubblicate su Proceedings of the National Academy of Sciences – mostrano con chiarezza che tra i due elementi la correlazione esiste, eccome. Nel rapporto tra suoni e significati esistono alcune regole che sembrano essere una costante per il linguaggio umano. Per identificare alcuni aspetti fondamentali del quotidiano gli esseri umani usano alcuni suoni specifici più di altri.

Questo vale in modo particolare per le parti del corpo. Il naso è contrassegnato dal suono nasale “n” nella maggior parte delle lingue del mondo, la lingua dalla lettera “l”, e così via. Sono definite da parole con suoni specifici anche le relazioni familiari, alcune proprietà fisiche e gli oggetti del mondo naturale. Il concetto di rotondo e il colore rosso sono accomunati dal suono “r” nei diversi ceppi linguistici, il suono “s” identifica la sabbia, mentre “l”, “b” e “p” sono i fonemi più comuni all’interno delle parole che identificano il concetto di foglia, sebbene nella nostra lingua non ve ne sia traccia.

Anche i pronomi mostrano regolarità precise, e in questo caso gli autori sono rimasti colpiti soprattutto dalla mancanza di alcuni suoni nella maggior parte delle lingue. Nel pronome che indica la prima persona singola, “io”, per esempio, sono molto rari i suoni che coinvolgono “u”, “p”, “b”, “t”, “s”, “r” e “l”.

Negli ultimi vent’anni diversi studi isolati avevano messo in evidenza l’esistenza di regolarità nell’associazione tra suoni e significati valide per alcuni oggetti d’uso quotidiano. Ma tutti gli studi precedenti avevano riguardato solo piccoli campioni di linguaggi umani o avevano preso in esame solo ridotti sottoinsiemi di parole. Come spiega in un comunicato Morten H. Christiansen, direttore del Cornell Cognitive Neuroscience Lab e coautore del presente studio, “è la prima volta che viene dimostrata l’esistenza di un simbolismo sonoro nel linguaggio umano su grande scala”. Il lavoro di Chistiansen e colleghi permette di giungere a conclusioni importanti, che rovesciano un dogma della linguistica vissuto cent’anni: la non esistenza di una correlazione tra parole e significati.

Resta da capire la causa dell’esistenza di questa associazione nel linguaggio umano. Un indizio ce lo fornisce indirettamente il tipo di parole coinvolte. Si tratta di concetti di base nel linguaggio, di quelli che i bambini imparano nelle prime fasi del loro apprendimento. E forse questa correlazione riguarda le modalità stesse con cui i bambini imparano a parlare. “Probabilmente ha qualcosa a che fare con la mente umana o il cervello, i nostri modi di interagire, o i segnali che usiamo quando impariamo o processiamo un linguaggio. Sarà una questione chiave per la ricerca futura”, conclude Christiansen.

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