STRANIMONDI

Tetris: nascita di un’icona pop

Un fumetto appena pubblicato racconta la storia di come è nato uno dei più famosi videogiochi di tutti i tempi, tra intrighi internazionali, puzzle e psicologia

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I pezzi del Tetris di Alexey Pajitnov sono ispirati da un rompicapo per uno o due giocatori con le tessere di legno.

STRANIMONDI – I suoi predecessori avevano mandato in orbita lo Sputnik con meno potenza di calcolo di quella a sua disposizione. Non che quella che aveva a disposizione lui fosse granché: un computer senza nessuna possibilità grafica, con una capacità di calcolo di 250 mila operazioni al secondo e 8 kb di RAM. Ma Alexey Pajitnov, programmatore dell’Accademia delle Scienze di Mosca, non si è certo lasciato scoraggiare dai limiti imposti dalla tecnologia. Anzi, li ha sfruttati come stimolo per il pensiero. Così, aggirando il problema dell’assenza di grafica e lavorando solamente nel tempo libero, ha creato Tetris in un momento, la metà degli anni Ottanta, in cui i videogiochi stavano per conquistare il mondo. E Tetris sarebbe stato uno dei più grandi successi di sempre.

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Su questa storia è in preparazione un film, annunciato nel 2014 ma già diventato una trilogia, ma nel frattempo ci possiamo mettere al passo con una graphic novel Tetris. Incastri internazionali di Box Brown arrivata nelle fumetterie italiane giusto in tempo per LuccaComics grazie alla collana 9L di Panini. L’industria culturale internazionale aggiunge così un altro tassello a quel revival anni Ottanta di cui abbiamo già parlato con Stranger Things e Paper Girls in puntate precedenti di questa rubrica. Nella prefazione, Matteo Bordone sottolinea come sia un fenomeno “iniziato appena dopo, nel decennio successivo, e che ancora oggi continua a interessare porzioni sempre più settoriali del periodo, ora nella musica, ora nel cinema, nella letteratura, nella moda o nel costume”. Uno scrigno da cui attingere per storie che, arrivate prima dei social network, conservano – accogliendo il ragionamento di Bordone – un fascino epico, acuito dal clima imperversante della Guerra Fredda.

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Tetris, allora, può anche essere letto come la cronaca di una trasformazione tecnologica con profondissime implicazioni per la società e il nostro modo di vivere. C’è un videogioco dirompente che può essere contenuto in un solo floppy disk da 5 pollici e un quarto, una serie infinita di telex e fax spediti da una parte all’altra del mondo per comunicare, l’invasione dei salotti giapponesi, e poi mondiali, con Pong, lo sviluppo di un paio di aziende nell’elettronica di consumo come Nintendo e Microsoft. Ma c’è anche la predizione di Gunpei Yokoi che un giorno tutti noi ci saremmo portati dietro i nostri videogiochi preferiti. Non lo facciamo (quasi) più con il suo Gameboy quanto con i nostri smartphone, ma la sua previsione si è rivelata corretta: oggi giochiamo in mobilità.

Puzzle e psicologia

E Alexey Pajitnov? Il barbuto programmatore per una buona parte della storia rimane al di fuori delle trattative commerciali e delle tese riunioni tra americani, giapponesi e sovietici. Il suo interesse per i videogiochi nasce dalla sua passione per i puzzle e i rompicapo, convinto che siano uno strumento per stimolare la creatività e le capacità di ragionamento di chi ci gioca.

La sua convinzione che i videogiochi avessero un effetto sul cervello deriva, non sappiamo quanto direttamente, dagli studi che due psicologi hanno realizzato negli anni Sessanta. Bluma Zeigarnik e Kurt Lewin, studiando i camerieri di un bar, hanno osservato che ci ricordiamo meglio i compiti interrotti o incompleti rispetto a quelli che abbiamo portato a termine. È l’effetto Zeigarnik, come poi è diventato noto, e ben si presta a spiegare quello che accade nel cervello di chi gioca a Tetris.

Il compito del giocatore è incastrare ognuno dei pezzi del videogame nel modo migliore per creare linee complete. Così facendo, ogni volta che un nuovo pezzo appare sullo schermo, il nostro cervello sfrutta l’effetto Zeigarnik, ma si dimentica di quello che ha fatto non appena ha terminato il compito. Salvo che c’è già un altro pezzo, quindi un altro compito: ecco una spiegazione parziale della dipendenza che Tetris può dare.

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La questione artistica

Tetris funziona a meraviglia nel raccontare il cambiamento della società che, tra gli intrighi internazionali che coinvolgono anche Michail Gorbačëv, i videogiochi e l’elettronica di consumo hanno determinato nel nostro modo di intendere i videogiochi e la tecnologia. Il tratto quasi 8-bit di Box Brown è funzionale a una storia dal ritmo serrato e la bicromia scelta aumenta l’effetto retromaniaco che è parte integrante dell’appeal del libro.

Peccato, però, che la graphic novel pecchi sul fronte della profondità dei personaggi. Anche lo stesso Pajitnov non appare troppo tridimensionale e gli altri protagonisti danno più l’impressione di maschere piatte. Su questo fronte molto più interessante leggere un libro bellissimo come Console WarsLa battaglia che ha segnato una generazione. Scritto dal giornalista Blake J. Harris, e pubblicato in italia da Multiplayer edizioni, si preoccupa di un periodo leggermente successivo all’esplosione del fenomeno Tetris. Racconta la battaglia cominciata negli anni Novanta tra Nintendo e SEGA per il controllo del mercato mondiale dei videogiochi, tratteggiando ritratti psicologici raffinati dei protagonisti.

Box Brown, però, ha il merito di fare una domanda: i videogiochi sono arte? Sostiene di sì, alla pari del cinema (superato in termini di ricavi industriali in anni recenti) o del fumetto (ma con un’influenza molto maggiore e più pervasiva). La domanda troverà forse una risposta nei prossimi decenni, per il momento c’è da registrare che sono un fenomeno planetario con cui bisogna fare i conti, giocatori professionisti e problemi di doping compresi.

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it