IPAZIA

Stephanie Kwolek, la donna che inventò il kevlar

È cinque volte più resistente dell'acciaio e non è alterato dal calore e dagli impatti: il kevlar, utilizzato per fabbricare giubbotti antiproiettili e molti altri oggetti, è nato dal lavoro di ricerca della chimica Stephanie Kwolek

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L’invenzione del kevlar è avvenuta quasi per caso, grazie al lavoro di ricerca di Stephanie Kwolek. Crediti immagine: per gentile concessione di DuPont

IPAZIA – Quand’era piccola Stephanie Kwolek amava giocare con stoffe e tessuti. Sognava di diventare una stilista. Qualche anno dopo aveva cambiato idea, voleva fare il medico e salvare vite umane. Da grande, Stephanie è diventata una chimica ed è passata alla storia per aver inventato il kevlar, una fibra sintetica super resistente impiegata, tra le altre cose, per la realizzazione di giubbotti antiproiettile. Si calcola che, nei soli Stati Uniti, i giubbotti in kevlar abbiano salvato la vita a oltre tremila poliziotti. Questo materiale è utilizzato anche nella moda, per la fabbricazione di gioielli e accessori, e nella fiction: il Batman dei film di Christopher Nolan, per esempio, indossa un bellissimo costume in kevlar. Alla fine Stephanie non è diventata né una stilista né un medico, ma in un certo senso è riuscita a realizzare entrambi i suoi desideri.

Stephanie Louise Kwolek nasce nel 1923 in un sobborgo di Pittsburgh, in Pennsylvania, da genitori polacchi. Il padre, operaio di fonderia, muore quando Stephanie ha appena dieci anni, ma lascia un segno indelebile nella vita della figlia. Appassionato naturalista, le trasmette l’amore per la scienza; insieme fanno lunghe passeggiate per i boschi, raccogliendo e identificando semi, fiori e foglie. La madre invece fa la sarta e Stephanie utilizza di nascosto la sua macchina da cucire per confezionare i vestiti delle bambole. Vuole occuparsi di moda, ma la madre la convince a desistere: è “troppo perfezionista” per lavorare in quel settore. Decide quindi di diventare medico, ma le modeste finanze della famiglia non le consentono di frequentare la scuola di medicina. Si iscrive così al corso di chimica del Margaret Morrison Carnegie College di Pittsburgh, dove si laurea nel 1946.

Lo stesso anno fa domanda per ottenere un posto presso la DuPont, una delle più importanti aziende chimiche americane. Fa un colloquio con William Hale Charch – l’inventore del cellophane resistente all’acqua, all’epoca direttore del dipartimento di fibre tessili della società – e viene assunta con la qualifica di chimico tessile. È una delle prime donne della storia a operare nel settore della chimica industriale. L’idea è quella di lavorare solo per il tempo necessario a mettere da parte i soldi con cui pagarsi la scuola di medicina, ma alla fine il lavoro di ricerca le piace così tanto che decide di restare. Lascerà la DuPont dopo quarant’anni, nel 1986.

La grande scoperta avviene per caso, nel 1964. In previsione di una diminuzione nella produzione globale di petrolio, il gruppo di ricerca di Stephanie Kwolek lavora alla realizzazione di una fibra leggera ed elastica da utilizzare negli pneumatici delle automobili: veicoli più leggeri hanno bisogno di meno benzina. Durante un esperimento in laboratorio, due monomeri – molecole semplici in grado di combinarsi tra loro – producono una fibra dalle caratteristiche particolari. Kwolek si rende subito conto della straordinarietà del nuovo materiale e convince Charles Smullen, il tecnico di laboratorio, a eseguire alcuni test. Scopre così che il polimero – ovvero la macromolecola prodotta nell’esperimento – è incredibilmente resistente. Negli anni successivi vengono condotte ulteriori analisi su questa fibra sintetica, finché nel 1971 la DuPont la immette sul mercato col nome di kevlar.

A parità di peso, il kevlar è cinque volte più resistente dell’acciaio. Ha inoltre una notevole capacità di assorbimento alle vibrazioni e resiste molto bene agli impatti, al calore e alla trazione. Oltre che per la fabbricazione di giubbotti antiproiettile, il kevlar è utilizzato in svariati altri ambiti: per la realizzazione di elmetti militari e il rivestimento del vano motore degli aeroplani, nelle carene delle canoe e per rinforzare i veicoli blindati, nelle punte delle stecche da biliardo, per l’imbottitura dei vestiti dei motociclisti, nelle tute spaziali, nei telai e nelle carrozzerie di auto e moto da corsa, per il rivestimento di smartphone e cavi USB. Esistono persino calzini in kevlar, utilizzabili al posto delle scarpe per camminare su superfici non levigate senza correre il rischio di farsi male. Nel corso degli ultimi quarant’anni, il kevlar ha generato alla DuPont entrate per miliardi di dollari. Tuttavia, Stephanie Kwolek non ne ha tratto alcun beneficio personale, avendo ceduto tutti i diritti di sfruttamento commerciale.

Ricercatrice presso il National Research Council e la National Academy of Sciences, nel corso della sua carriera Stephanie Kwolek ha ottenuto più di venti brevetti e ricevuto importanti premi e riconoscimenti. Nel 1980 l’American Chemical Society le ha assegnato l’Award for Creative Invention. Nel 1995 è stata la quarta donna della storia a essere inserita nel National Inventors Hall of Fame e la prima a ricevere la Lavoisier Medal for Technical Achievement. Nel 1996 Bill Clinton, allora presidente degli Stati Uniti, le ha consegnato la National Medal of Technology and Innovation e nel 1997 ha ricevuto la Medaglia Perkin dalla Society of Chemical Industry. Infine, nel 2003 è stata aggiunta alla National Women’s Hall of Fame.

Dopo il pensionamento e fino alla morte, avvenuta nel 2014, Stephanie Kwolek ha inventato e scritto numerose dimostrazioni di chimica da utilizzare nelle scuole superiori. Una delle più famose e utilizzate, il nylon rope trick, illustra alcuni dei principi chimici fondamentali della polimerizzazione e fornisce agli studenti una dimostrazione pratica di quali sono i passi da seguire per creare un polimero sintetico. Il suo obiettivo principale era quello di incoraggiare le giovani donne a intraprendere una carriera nel campo scientifico. “Forse sarà necessaria un’altra generazione prima che si raggiunga la piena uguaglianza tra uomini e donne, ma più saranno le donne interessate alla scienza, più il processo sarà veloce”. Parola di Stephanie Louise Kwolek.

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.