SCOPERTE

Leucemia mieloide acuta: una sequenza di DNA non umana alla base dell’alterazione genica

Questa sequenza di DNA estraneo, osservata per la prima volta in oltre la metà dei pazienti, apre la strada per nuovi bersagli terapeutici

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Una sequenza di DNA non umana presente nelle cellule di pazienti malati di leucemia mieloide acuta sembra essere associata alla malattia. Crediti immagine: Shaury Nash, Flickr

SCOPERTE – Da oltre vent’anni la scienza sta studiando i meccanismi genetici alla base dell’origine della leucemia mieloide acuta, una malattia che colpisce circa 2000 persone l’anno. Un gruppo di ricercatori dell’Università Statale di Milano e dell’Ospedale Niguarda ha individuato nella metà dei pazienti una sequenza di nucleotidi – i mattoni che compongono il DNA – non umana, anche se ancora non si conosce la natura di questa sequenza estranea, né come e perché viene incorporato nel nostro DNA. Una sequenza che potrebbe appartenere, fra le altre ipotesi, a un virus o a un batterio. La scoperta è valsa la pubblicazione su Scientific Reports ed è frutto di un lavoro completamente autofinanziato con il sostegno delle associazioni di volontariato (Associazione Malattie del Sangue Onlus di Milano e Como Hematology and Oncology di Como).

“Il punto di forza di questa notizia non è solo l’aver notato la presenza di DNA non umano, ma la frequenza con cui l’abbiamo trovato” spiega a OggiScienza Alessandro Beghini, uno dei ricercatori dell’Università di Milano coinvolti. “Aver osservato questa caratteristica nel 56% dei pazienti – si tratta di 125 pazienti trattati per questo tumore presso il reparto di ematologia dell’ospedale Niguarda nel corso degli ultimi 5 anni – è un dato di enorme valore, perché ci permette di parlare per la prima volta di correlazione e partire da qui per studiare i meccanismi che originano la leucemia. Già in altri mammiferi, scimmie comprese, erano state osservate queste catene nucleotidiche (onco-geni) di origine non umana, ma mai era capitato prima nell’essere umano, anche se appunto, essendo già stato individuato in altri mammiferi, in qualche modo ci aspettavamo questo risultato.”

Il punto di partenza per questa scoperta è stata l’aver osservato la sovraesposizione di una proteina – WNT10B – nella cellula leucemica, sovraesposizione già evidenziata quattro anni fa dal medesimo gruppo milanese. “L’idea era capire chi desse l’ordine a questa proteina di comportarsi in questo modo, proliferando a dismisura”, prosegue Beghini, “cioè individuare un oncogene per questa proteina e studiarlo.” Un oncogene è un gene che codifica per una certa proteina e che può indirizzare la cellula, lo dice il nome stesso, verso lo sviluppo di una neoplasia, cioè di un possibile tumore. Studiare l’oncogene di una proteina è quindi un passo importantissimo per identificare i meccanismi genetici alla base dell’originarsi di una forma tumorale.

Un aspetto interessante è che questa scoperta è stata possibile perché i ricercatori non hanno utilizzato tecnologie di ultimissima generazione. “Fortunatamente per una volta l’utilizzo di tecnologie più vintage ci ha aiutato”, scherza Beghini. “Abbiamo dovuto isolare la porzione di DNA ignota e una volta prelevata la parte che ci serviva l’abbiamo sequenziata. I sequenziatori di ultima generazione però sono programmati per sequenziare solo materiale che riconoscono come umano, ‘cestinando’ tutto il resto, cosa invece per cui non sono progettati gli strumenti più vecchi. Insomma, se avessimo usato l’ultimo prodotto sul mercato probabilmente la porzione di DNA non umano sarebbe stata interpretata come contaminazione e sarebbe stata scartata automaticamente prima del sequenziamento.”

Inoltre, la stessa sequenza di DNA non umano è stata individuata in pazienti con cancro alla mammella. Se è vero che questa alterazione ricorre anche in altri tipi di tumore, sarebbe l’alterazione genica più frequente fra tutti i tumori, rappresentando un passo in avanti importantissimo in oncologia. Resta infine da capire perché alcuni pazienti presentano questa sequenza non umana e altri no, pur soffrendo della stessa forma leucemica.

Attualmente con i moderni trattamenti chemioterapici, nei pazienti giovani si ottiene l’80% di remissioni complete e una sopravvivenza libera da malattia in circa il 30% dei casi. Questa scoperta, se e quando verrà avvalorata da ulteriori ricerche, apre dunque una possibile strada verso la diagnosi precoce della malattia e soprattutto verso una migliore cura, nell’ambito di quella che viene definita medicina molecolare. “Stiamo già testando una classe di molecole che può interferire con questo meccanismo stoppando in modo mirato i meccanismi proliferativi mediati da WNT10B.”– conclude Beghini – e stiamo ottenendo dei primi risultati promettenti, anche se c’è ancora molta strada da fare.”

@CristinaDaRold 


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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.