IPAZIA

Elizabeth Lee Hazen e Rachel Fuller Brown, le madri della nistatina

Il lavoro delle due scienziate statunitensi ha permesso di sviluppare un antibiotico ad azione antimicotica, usato per combattere le infezioni fungine e per impedire la formazione di muffe

elizabeth_lee_hazen_rachel_fuller_brown_1950s
Nel 1955 Hazen e Brown hanno ricevuto il primo Squibb Award per i successi in chemioterapia. Crediti immagine: Smithsonian Institution, Wikimedia Commons

IPAZIA – Per i malati di AIDS, i grandi ustionati o le persone in chemioterapia, una semplice infezione da funghi può essere letale, ma da alcuni decenni esiste una cura semplice ed efficace. Si chiama nistatina ed è un antibiotico ad azione antimicotica ricavato dal batterio della specie Streptomyces noursei. Usata soprattutto in caso di infezioni della pelle e delle mucose, la nistatina è utile anche per curare alcune patologie vegetali e nel restauro di affreschi e dipinti. Dopo l’alluvione di Firenze del 1966, per esempio, la nistatina venne spruzzata su decine di opere d’arte danneggiate per impedire la formazione di muffe. Il composto è stato identificato nel 1950 da due scienziate americane, la microbiologa Elizabeth Lee Hazen e la chimica Rachel Fuller Brown. A rendere ancora più straordinaria la scoperta il fatto che – in un’epoca in cui internet era ancora un miraggio – le due donne lavorarono a distanza. Le comunicazioni avvenivano per mezzo di lettere e i campioni da analizzare erano inseriti in semplici barattoli e poi spediti in normali pacchi da imballaggio. Se la nistatina è stata scoperta, lo si deve anche all’efficienza del sistema postale statunitense.

Nata nel 1885 a Rich, nello stato del Mississippi, Elizabeth Lee Hazen rimane orfana di entrambi i genitori ad appena tre anni. A crescere lei e i suoi due fratelli sono la nonna materna e uno zio paterno. Dopo aver frequentato la Mississippi University for Women, si trasferisce a New York e si laurea in Biologia alla Columbia University. Inizia un percorso di specializzazione in microbiologia, ma quando scoppia la prima guerra mondiale è costretta a interromperlo per servire come biologa in un centro diagnostico dell’esercito americano. Tornerà alla Columbia nel 1923, dove quattro anni più tardi conseguirà il dottorato in microbiologia. Nel 1931 viene assunta dal Dipartimento di Salute dello stato di New York, dove si occupa di batteriologia medica. Qualche anno dopo, nel 1944, viene scelta per guidare uno studio specifico sulle patologie provocate dai funghi. Infine, nel 1948, identifica un gruppo di batteri filamentosi, chiamati attinomiceti, come potenziali antifungini. L’individuazione e l’isolamento delle proprietà antifungine richiedono l’intervento di un chimico esperto. A quel punto inizia la collaborazione con Rachel Fuller Brown, che lavora in un laboratorio di Albany, 250 chilometri a nord di New York.

Rachel Fuller Brown nasce a Springfield, in Massachusetts, nel 1898. È ancora una bambina quando i genitori si separano. Il padre lascia lei e la madre senza un soldo. Rachel riesce a iscriversi al college solo grazie all’aiuto di un’amica di famiglia, Henrietta Dexter. Studia storia, ma dopo aver seguito un corso obbligatorio di scienze tenuto da Emma Perry Carr scopre di avere una passione per la chimica. Riesce a entrare all’Università di Chicago, dove nel 1921 si laurea in chimica organica. Nel 1926 sta per conseguire il dottorato in chimica nella stessa università, ma problemi economici la costringono a rinunciare alla discussione della tesi. Comincia così a lavorare presso la sezione di Albany del Dipartimento di Salute dello stato di New York. Durante i primi anni di lavoro, la Brown si concentra sullo studio dei ceppi di batteri che causano la polmonite e contribuisce a sviluppare un vaccino tuttora in uso. Infine nel 1948, come sappiamo, viene scelta per aiutare Elizabeth Lee Hazen a identificare una sostanza in grado di contrastare le infezioni da funghi.

Nel suo laboratorio di New York, la Hazen raccoglie campioni di suolo provenienti da diverse zone degli Stati Uniti e li esamina per valutare l’azione dei batteri contro due tipi di funghi, Candida albicans e Cryptococcus neoformans. Quando riscontra una qualche efficacia, inserisce la coltura in un barattolo e invia il pacchetto a Rachel Fuller Brown. Nel suo laboratorio di Albany, la Brown usa uno speciale solvente per isolare l’agente attivo nella coltura e rispedisce il tutto a New York, dove viene eseguito un altro test per verificare la tossicità del composto sugli animali. Quasi tutte le colture mostrano un’elevata tossicità, eccetto una, contenente i batteri presenti in un campione di suolo prelevato nel terreno della fattoria di un amico della Hazen, Walter B. Nourses. Per questa ragione, il batterio viene battezzato Streptomyces noursei.

Nel 1950 le due scienziate presentano ufficialmente la nistatina – chiamata così in omaggio al Dipartimento di Salute dello stato di New York (N.Y. State Department of Public Health) – nel corso di un convegno della National Academy of Sciences degli Stati Uniti. Negli anni successivi vengono eseguiti numerosi altri test, sia su animali che su esseri umani, finché nel 1954 la Food and Drug Administration autorizza l’immissione della nistatina sul mercato.

Le vendite della nistatina hanno fruttato a Elizabeth Lee Hazen e Rachel Fuller Brown oltre 13 milioni di dollari di royalties. L’intera somma è stata donata alla Research Corporation, una organizzazione nonprofit impegnata nella ricerca medica. Grazie a questa donazione è stato istituito il Brown-Hazen Research Fund, ente che finanzia ricercatori e ricercatrici e promuove l’avanzamento delle donne nella scienza. I guadagni ottenuti grazie alla nistatina hanno consentito a Rachel Fuller Brown di rimborsare Henrietta Dexter, la donna che aveva finanziato i suoi studi ai tempi del college. Nel 1975, le due scienziate sono state le prime donne a ricevere il Chemical Pioneer Award da parte dell’American Institute of Chemists. Nel 1994 hanno ottenuto entrambe l’inserimento postumo nel National Inventors Hall of Fame.

Leggi anche: Dal grafene ai super materiali

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.