ricercaSCOPERTE

Il tempo vola o non passa mai?

Secondo un nuovo studio, pubblicato su Science, la risposta sarebbe nella sostanza nera del cervello.

A differenza della vista o dell’udito, la percezione del tempo non può essere fatta risalire a un organo di senso come l’occhio o l’orecchio. I ricercatori hanno ipotizzato che i neuroni che rilasciano dopamina possano anche svolgere un ruolo nel modo in cui percepiamo il tempo. Crediti immagine: Pixabay

RICERCA – In situazioni noiose o sgradevoli, ci sembra che il tempo non passi mai. Ma quando ci divertiamo, ecco che vola via. Tutto ciò è più che una semplice impressione: alla questione che ha appassionato filosofi per secoli si aggiungono nuove risposte dalla neurobiologia.

Pubblicata su Science, una ricerca opera dello Champalimaud Centre for the Unknown di Lisbona ha identificato – seppur nel cervello dei topi – il circuito neuronale che modula la percezione del tempo trascorso. Una regione in cui l’attività di alcuni neuroni può essere manipolata per indurre l’animale a sottostimare o sovrastimare la durata di un intervallo di tempo fisso.

Il passare del tempo sembra un concetto quasi impossibile da studiare dal punto di vista neurobiologico, poiché – spiega Joe Paton, uno degli autori dello studio – “a differenza della vista o dell’udito, la percezione del tempo non può essere fatta risalire a un organo di senso come l’occhio o l’orecchio”. Eppure tale capacità è di cruciale importanza per la sopravvivenza di qualsiasi animale.

I ricercatori hanno ipotizzato che i neuroni che rilasciano dopamina possano anche svolgere un ruolo nel modo in cui percepiamo il tempo. Questo perché i neuroni che la sintetizzano e la inviano ad altre aree del cervello sono stati trovati in una struttura profonda chiamata substantia nigra pars compacta: qui i neuroni dopaminergici muoiono in presenza di una malattia come il Parkinson, che altera la percezione del tempo e dei movimenti.

Il team di ricerca aveva già studiato il corpo striato nei roditori, nel tentativo di capire come il cervello stimi e tenga traccia del tempo, scoprendo che la rimozione dell’input dei neuroni dopaminergici verso il corpo striato “può causare un deficit selettivo nella misurazione del tempo”.

Per il loro nuovo studio, gli scienziati hanno addestrato i topi a eseguire un compito che riguardava la misurazione del tempo, addestrandoli a stimare se la durata dell’intervallo tra due toni fosse più o meno lunga di 1,5 secondi. Compito in cui i roditori, dopo mesi di allenamento, erano diventati “abbastanza bravi”, come sottolinea Paton.

I topi indicavano la loro scelta ponendo il loro muso o in una porta a destra per un intervallo più breve, o in una porta a sinistra per un intervallo più lungo. L’intervallo tra i toni è stato fatto variare durante il test e gli scienziati ricompensavano le bestiole quando stimavano il tempo correttamente.

Nella seconda parte della ricerca, il team si è occupato di esaminare l’attività elettrica dei neuroni dopaminergici nella pars compacta della sostanza nera. Grazie alla fotometria a fibra ottica gli scienziati hanno misurato i segnali che riflettono l’attività elettrica dei suddetti neuroni, facendo in modo che emettessero luce fluorescente quando erano attivi, per poi misurare l’intensità della luce emessa.

L’attività neuronale aumentava all’inizio del primo e del secondo tono. Ciò indicava che i neuroni dopaminergici erano stati coinvolti attivamente nel compito. Soprattutto, l’attività neuronale variava d’intensità. Gli scienziati sono stati in grado di correlare l’ampiezza dell’attività neurale con la valutazione del tempo degli animali.

Per fare questo hanno dovuto verificare se l’attività neurale può effettivamente indurre cambiamenti nel modo in cui il tempo è percepito. Operazione resa possibile dalla cosiddetta tecnica ottogenetica, che permette di indirizzare e controllare specifiche cellule rese sensibili alla luce tramite alterazione genetica.

“Abbiamo scoperto che se stimolavamo i neuroni, i topi tendevano a sottovalutare la durata, e se li silenziavamo, tendevano a sovrastimarla. Questo risultato, insieme ai segnali presenti in natura che abbiamo osservato negli esperimenti precedenti, dimostrano che l’attività di questi neuroni è stata sufficiente ad alterare il modo in cui gli animali giudicavano il passare del tempo. Questo – conclude Paton – è stato il risultato più importante del nostro studio.”

Leggi anche: Quando l’ansia modifica la percezione della realtà

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su