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Teoria della mente e altri primati: tra le scoperte dell’anno secondo Science

Per decenni abbiamo pensato che la teoria della mente fosse una capacità tipicamente umana: una ricerca mette in discussione questa idea, e si guadagna un posto tra gli studi più importanti del 2016 secondo Science

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Alcuni primati non umani sembrano essere in grado di capire le intenzioni degli altri, anche quando sono errate. Crediti immagine: Afrika Force, Flickr

ATTUALITÀ – Quando si parla di comportamento animale, è difficile evitare il confronto tra le caratteristiche degli esseri umani e quelle delle altre specie. Dal linguaggio all’empatia, dalla stratificazione sociale alla capacità di contare, sono molti gli studi che hanno messo in discussione l’unicità umana di alcune capacità cognitive che nel passato erano state considerate esclusive della nostra specie. Tra queste, probabilmente la teoria della mente è quella che ha mantenuto più a lungo lo status di “tipicamente umana”. Una ricerca pubblicata lo scorso ottobre su Science mette in discussione questa unicità, guadagnandosi un posto tra le ricerche più importanti del 2016.

Per teoria della mente si intende la capacità di attribuire ad altri individui stati mentali, come pensieri, conoscenze, aspettative e intenzioni. Nella sua forma più elaborata, è il punto di partenza che permette il dispiegarsi della trama di qualsiasi narrazione di spionaggio (Io so che lui sa che io so che lui sa), ma di fatto questa capacità sottende alla maggior parte delle interazioni umane e fa in modo che generalmente le nostre giornate filino via lisce, senza eccessive spiegazioni. Un insegnante che spiega la lezione ai suoi studenti ha un’idea delle loro conoscenze e aspettative, e adegua di conseguenza il linguaggio e la difficoltà delle nozioni presentate. La cameriera che ci ha servito il caffè stamattina si aspettava che fossimo consapevoli di doverlo pagare, e si è potuta risparmiare una spiegazione sul funzionamento dei sistemi di scambio monetari.

Alcuni studi sembrano suggerire che altri primati non umani possiadono una forma di teoria della mente, ma finora si pensava che non fossero in grado di superare un test chiamato delle false credenze (false belief). In pratica, gli animali non umani sembrano in difficoltà a capire che gli altri individui agiscono in base a quello che sanno della realtà, anche quando queste convinzioni sono sbagliate.

Il test delle false credenze è stato sviluppato per studiare la teoria della mente nei bambini. Nello scenario tradizionale, i bambini osservano un personaggio (una bambola o una persona vera) che nasconde un oggetto in un nascondiglio e poi esce di scena. Un altro personaggio di nascosto sposta l’oggetto e lo nasconde altrove. Quando rientra il primo personaggio, dove cercherà l’oggetto? Generalmente, i bambini sotto i quattro anni di età rispondono che lo cercherà nella seconda posizione, cioè dove si trova realmente: non sembrano in grado di capire che un’altra persona agisca secondo un’idea errata della realtà. Crescendo imparano invece a rispondere correttamente, superando il test delle false credenze. Nel 2007 uno studio di psicologia dello sviluppo ha messo però in discussione questa idea, indicando che anche bambini più piccoli potevano superare una versione modificata del test, che si basava sull’osservazione della direzione dello sguardo dei bambini per inferire le loro aspettative.

La ricerca di Christopher Krupenye ha applicato un simile paradigma per studiare le false credenze in tre specie di primati non umani: scimpanzé, bonobo e oranghi. Utilizzando una tecnologia di eye-tracking, gli scienziati hanno sottoposto gli animali a diversi scenari, analizzando la direzione dello sguardo per capire dove i primati focalizzavano l’attenzione. Secondo i risultati dello studio, la maggior parte degli animali coinvolti mostra di superare il test delle false credenze.

Anche se altre ricerche sono necessarie per confermare che i primati studiati siano in grado di utilizzare questa capacità nelle loro relazioni, quanto emerso dal lavoro Krupenye e colleghi apre alla possibilità che la teoria della mente sia un traguardo evolutivo più antico di quanto pensassimo. Se anche gli antenati comuni tra esseri umani e altre scimmie antropomorfe la possedevano, questa sofisticata capacità di cognizione sociale potrebbe essere comparsa tra i 13 e i 18 milioni di anni fa.

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