ATTUALITÀ

Allarme meningite, tra psicosi collettive e rassicurazioni ministeriali

Vaccinarsi o meno? È assalto ai centri vaccinali, ma il Ministero dice che non c'è epidemia. Ne abbiamo parlato con l'epidemiologo e igienista Pierluigi Lopalco, affrontando anche il caso Toscana.

Crediti immagine: Alessandro Martins, Flickr

ATTUALITÀ – Il 2017 si è aperto all’insegna della paura della meningite. Ogni giorno le cronache riferiscono di qualche caso, sparso in tutta Italia: tra gli ultimi una bambina a Padova, una donna ad Avezzano (in Abruzzo) e una a Palermo, un uomo a Treviso, uno a Ravenna e uno a Barletta. Risultato: centri vaccinali tempestati di richieste di informazioni (400 al giorno all’Ats di Milano, 150 al giorno alla sola Asl 1 di Torino) o di prenotazioni di vaccinazione. È corsa al vaccino a Roma, in Sicilia, a Napoli, nelle Marche. Una corsa così frenetica che alcuni centri vaccinali e farmacie denunciano problemi di approvigionamento dei vaccini, mentre il Ministero della salute rassicura sul fatto che in Italia non siamo di fronte a un’epidemia di meningite: con l’eccezione della Toscana, dove dal 2015 si è registrato un aumento del numero di casi, sul territorio nazionale i casi del 2016 sono stati in linea (anzi, inferiori) con quelli degli anni precedenti. Una situazione paradossale, insomma, considerato che da tempo le autorità sanitarie denunciano un crescente disamore degli italiani per i vaccini – gli ultimi dati della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero, per esempio, confermano il trend di diminuzione delle vaccinazioni pediatriche – mentre ora si trovano a dover gettare acqua sul fuoco, invitando a un ricorso razionale alla vaccinazione.

Ora, è assolutamente giustificato che la meningite faccia paura. È una malattia temibile, con una letalità del 10% nei casi dovuti a pneumococco e del 12% in quelli da meningococco, che sale al 23% se il ceppo del meningococco è il C (dati Ministero della salute). E spesso chi sopravvive ne porta le conseguenze per tutta la vita. Per questo le autorità sanitarie insistono da sempre sull’importanza della vaccinazione per le fasce d’età più a rischio, che sono bambini e adolescenti e, nel caso dello pneumococco, anche anziani. Però è anche vero che stiamo parlando di una malattia rara – anche se le percentuali appaiono terribili i numeri assoluti sono piccoli (629 decessi negli ultimi 4 anni, a fronte per esempio di 3419 decessi per incidente stradale nel solo 2015) – e che in ballo c’è anche una questione di sanità pubblica. Di questo e di cosa sta esattamente succedendo in Toscana, OggiScienza ha parlato con Pierluigi Lopalco, professore ordinario di igiene all’Università di Pisa, epidemiologo e già coordinatore delle strategie vaccinali per il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie.

Partiamo dai dati. Il Ministero della salute dice che i casi di meningite sono passati da 1479 nel 2014 a 1815 nel 2015 e a 1376 nel 2016. È una casuale fluttuazione statistica o sta davvero succedendo qualcosa di buono?

In termini assoluti il numero minore di casi è indiscutibile, ma va sottolineato che quei numeri sono il risultato della somma dei casi notificati da tutte le regioni italiane. Significa che le differenze  fra i vari anni sono da considerarsi normali fluttuazioni, ma non si può escludere che in alcune regioni, grazie a campagne di vaccinazione più efficaci, sia in corso un reale trend in discesa.

Se in Italia la situazione generale è buona e – dice il Ministero – non si può parlare di epidemia, in Toscana le cose stanno diversamente, anche se c’è chi sostiene che non si possa comunque parlare di epidemia. Lei cosa ne pensa?

Si parla di epidemia quando si osserva un numero di casi superiore all’atteso. Ora, in Toscana i casi riportati negli ultimi due anni sono decisamente superiori alla media degli anni precedenti e per quanto riguarda i casi da meningococco C (che sono la grande maggioranza) ne è stata documentata l’origine da uno stesso ceppo (St11, particolarmente aggressivo, NdR). Quindi, in termini tecnici siamo di fronte ad una epidemia. Il Ministero ha ragione a dire che in Italia non esiste una situazione epidemica, ma è corretto dire che in Toscana – o meglio, in una particolare zona della Toscana – la situazione epidemica c’è.

Sulle cause di questa situazione si sta ancora indagando. Circola però l’ipotesi che in Toscana si contino più casi che altrove semplicemente perché si utilizza un sistema diagnostico più preciso. Cosa pensa di questa possibilità?

Sicuramente esiste una componente legata alla migliorata diagnosi. Se da un lato è difficile pensare che un caso di meningite clinicamente manifesta passi inosservato e sia sotto diagnosticato, dall’altro va detto che molti casi toscani si riferiscono in realtà a sepsi da meningococco: persone che arrivano al pronto soccorso con febbre alta e compromissione generale, ma senza segni di meningite. In mancanza di un adeguato sistema di diagnosi (come quello attualmente in uso in Toscana), molte di queste sepsi sarebbero state diagnosticate genericamente come “sepsi batterica”. Da sola, però, questa componente non spiega l’intero fenomeno.

Anche se in generale in Italia non c’è allarme, i cittadini corrono a farsi vaccinare. È psicosi o è corretto che tutti si pongano il problema e chiedano una soluzione? E in questo caso, le autorità sanitarie pubbliche possono davvero far fronte alla richiesta?

Bisogna distinguere vari piani del discorso. Il vaccino va bene in tutte le fasce d’età e a livello individuale chi sentisse la necessità di proteggersi ha il diritto a farsi vaccinare. Però per la sanità pubblica il discorso è diverso, perché bisogna fare i conti anche con la disponibilità economica e logistica. Non si possono vaccinare tutti indiscriminatamente ma bisogna porsi delle priorità, che sono: le fasce di età in cui il germe circola di più (adolescenti e giovani adulti), quelle in cui dà più casi di malattia (bambini) e i soggetti a rischio perché hanno malattie concomitanti. A queste fasce il vaccino deve essere offerto attivamente, gratuitamente e secondo le tempistiche ritenute più idonee. Chi è fuori da queste fasce può chiedere e fare il vaccino, ma a sue spese e se ne esiste la disponibilità. È chiaro comunque che stiamo assistendo a una situazione paradossale: da una parte, le fasce che dovrebbero vaccinarsi (bambini e giovani) che non sempre lo fanno, soprattutto in alcune regioni e, dall’altra, una massa di persone che non rientra in fasce prioritarie presa dalla psicosi. Un paradosso che denuncia una mancanza di fiducia nella sanità pubblica. Il mio invito, invece, è a fidarsi, e a comportarsi secondo le sue indicazioni: prima di tutto, vaccinandosi e facendo vaccinare i bambini quando viene richiesto.

Per chiudere torniamo alla Toscana. Crede che si stia facendo tutto il possibile per risolvere la situazione? Alcuni, per esempio, denunciano liste d’attesa di diverse settimane per la vaccinazione, anche per chi avrebbe pieno diritto a farla.

Credo che la Ragione si stia impegnando seriamente. Ha una task force che studia il fenomeno insieme all’Istituto superiore di sanità e ha già distribuito oltre 730 000 dosi extra di vaccino. Se dovessi suggerire un miglioramento, interverrei massicciamente con una campagna vaccinale per vaccinare tutti i bambini e ragazzi in età scolare che non siano stati ancora vaccinati. Il sistema di vaccinazione su richiesta da solo non basta, sia perché esistono appunto le liste d’attesa, sia perché ad ogni caso fa seguito l’assalto al più vicino punto di vaccinazione anche da parte di chi non dovrebbe essere vaccinato con priorità. Maggiore supporto da parte dei medici di base e  vaccinazione nelle scuole potrebbero permettere di raggiungere alte coperture in tempi brevi. Giudico invece un errore il fatto di aver ceduto al falso segnale che la vaccinazione non sia efficace, proponendo di conseguenza più richiami anche a chi ha già avuto la vaccinazione. È vero che questa vaccinazione (come del resto tutte le altre) non è efficace al 100% e che si possono avere casi anche nei vaccinati, il che per altro è normale in una situazione epidemica. Però in generale l’efficacia del primo ciclo di vaccinazione è buona, quindi in questo momento, anziché distogliere risorse per rivaccinare chi è già vaccinato avrei preferito mettere tutti gli sforzi per rintracciare chi non è mai stato vaccinato (diciamo fino ai 20 anni) e raggiungere alte coperture in quella fascia di età, che è probabilmente quella in cui il germe continua a circolare più attivamente.

Leggi anche: Meningite e gravidanza: bisogna vaccinarsi?

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance