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Rientro a Terra per le alghe spaziali

Dopo 16 mesi nel vuoto fuori dalla ISS, le alghe e i cianobatteri di un esperimento sono tornati a Terra. Ora gli scienziati studieranno come se la sono cavata nelle condizioni estreme dello spazio.

alghe stazione spaziale
Solo uno dei campioni non è sopravvissuto ai 16 mesi fuori dalla stazione spaziale. Crediti immagine: ESA/ROSCOSMOS

RICERCA – Circa due anni fa arrivava dalla Stazione Spaziale Internazionale un carico molto particolare: mille piante germinate e cresciute nello spazio, a bordo della stazione, sono rientrate sulla Terra nei laboratori del botanico Simon Gilroy. All’inizio del 2016 una zinnia è spuntata dentro Veggie, la serra della stazione, coronando il (sofferto) successo ottenuto con la lattuga. Ora un “pacchetto spaziale” simile è atterrato nei laboratori del Fraunhofer Institute di Potsdam, in Germania. All’interno? Alghe e cianobatteri tornati a casa dopo aver affrontato fluttuazioni di temperatura estreme, dai –20 °C ai +50 °C, ma anche le radiazioni cosmiche e molto altro mentre crescevano fuori dalla ISS.

Prima di tutto sono vivi, riportano gli scienziati che lavorano al Biology and Mars Experiment, BIOMEX. Sia le alghe verdi del genere Sphaerocystis – dalle isole Svalbard, in Norvegia – sia i cianobatteri antartici del genere Nostoc (le cosiddette “alghe azzurre”) hanno resistito per 16 mesi all’esterno della stazione, sopravvivendo al vuoto cosmico, e una volta rientrati quasi tutti i campioni hanno dato vita a nuove popolazioni.

Entrambi gli organismi sono criofili, ovvero amano il freddo e di conseguenza sono adattati per resistere a temperature rigide e sopravvivere anche alle condizioni più estreme. Ma gli ambienti “ostili” nello spazio non sono propriamente uguali a quelli della Terra, e riprodurne le esatte condizioni qui non è possibile: l’unico modo per studiare la loro resistenza era spedirli in orbita dopo averli essiccati, un’altra operazione alla quale sopravvivono senza grossi problemi.

Gli scienziati non volevano solo scoprire se questi organismi potessero sopravvivere anche nel vuoto (un’attività extra-veicolare senza tuta, per un essere umano, sarebbe letale) ma anche capire come avrebbero reagito all’esposizione alle radiazioni ultraviolette UVA, UVB e UVC, capaci di danneggiare il DNA umano. Negli oltre due anni trascorsi fuori dalla stazione spaziale, con solo dei filtri a proteggere alghe e cianobatteri, appositi strumenti hanno misurato tutti i cambiamenti nelle temperature e i livelli di radiazioni.

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Crediti immagine: Thomas Leya / Fraunhofer IZI-BB

“Ci aspettavamo che sopravvivessero nel vuoto […] ma siamo rimasti sorpresi nello scoprire che i ceppi algali sono rimasti incolumi anche all’azione di parti delle radiazioni UVC, estremamente dannose”, commenta in un comunicato Thomas Leya, tra gli scienziati che hanno condotto le analisi. Il prossimo passo sarà studiare nel dettaglio quali modifiche hanno permesso agli organismi di sopravvivere a condizioni tanto inospitali.

Le alghe verdi se la sono cavata particolarmente bene, il che ha messo nuova carne al fuoco per il loro potenziale utilizzo nelle missioni spaziali del futuro. Marte rimane sempre la meta più “fantascientifica”: possiamo quasi immaginare Matt Damon coltivare alghe nei sistemi di coltura idroponica di una serra ben sigillata, come fonte di proteine, senza il minimo contatto con il terreno. Ma gli scienziati sono anche curiosi di capire se milioni di anni fa degli organismi siano arrivati dallo spazio fino alla Terra – per esempio tramite meteoriti – portando la vita sul pianeta (pescando a piene mani nella teoria della panspermia si possono ipotizzare gli scenari più fantasiosi).

I cianobatteri restano tra gli organismi più interessanti in quest’ambito, come ci ha spiegato l’astrobiologa Daniela Billi in un’intervista qualche tempo fa. “La produzione di cibo coltivato direttamente sul suolo alieno per ora è fuori discussione. Una sfida a cui invece stiamo lavorando qui a Tor Vergata riguarda il possibile utilizzo dei cianobatteri estremofili, che potrebbero permetterci, in futuro, di pensare a una vegetazione collegata al suolo lunare o marziano. In altre parole, realizzare avamposti su un altro pianeta indipendenti dalla presenza umana. Per noi questo è il vero obiettivo ultimo”.

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Le alghe verdi -nelle prime due file- hanno assunto un colore aranciato tipico degli stadi di quiescenza, mentre i cianobatteri hanno formato colonie blu-verdi. Crediti immagine: Thomas Leya / Fraunhofer IZI-BB

@Eleonoraseeing

Leggi anche: La scienza della Stazione Spaziale Internazionale

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".