ATTUALITÀ

Il “declino” dell’italiano a scuola: diamo i numeri

La lettera dei 600 professori universitari sulle difficoltà degli studenti con la lingua italiana ha riacceso l'interesse verso il problema, puntando il dito contro le scuole primarie. Il quadro generale però è più complesso, e rivela una situazione non uniforme nel territorio italiano.

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Secondo i dati della valutazione internazionale PISA, i ragazzi italiani hanno punteggi più bassi della media OCSE nella comprensione del testo. Crediti immagine: Public Domain

ATTUALITÀ – Un paio di settimane fa su iniziativa del Gruppo di Firenze (un nucleo di 4 professori di scuole medie e superiori: Andrea Ragazzini, Sergio Casprini, docenti di storia dell’arte, Giorgio Ragazzini, docente di lettere, e Valerio Vagnoli, ex docente di italiano e storia), oltre 600 professori universitari italiani hanno sottoscritto una lettera aperta al Governo Italiano, dove hanno espresso preoccupazioni sul “declino dell’italiano a scuola” e dove propongono alcuni interventi per limitare il problema. La lettera sostiene che “da molti anni ormai” troppi ragazzi scrivono male, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. La consapevolezza del problema nasce, si legge nella lettera, dall’esperienza diretta dei professori e identifica la causa nelle scuole del primo ciclo, che necessitano, nell’opinione dei proponenti, di una revisione nella direzione della valorizzazione dell’acquisizione delle competenze di base.

Qualcuno avrà notato che nella lettera mancano riferimenti a dati oggettivi. Molte sono infatti le domande che il testo potrebbe far sorgere. In che percentuale della popolazione studentesca universitaria si riscontra il disagio? Da quanti anni esattamente il problema sussiste (“molti”, ma esattamente quanti)? Che tipo di errori si fanno (grammatica, ortografia, uso dei vocaboli, sintassi, organizzazione del testo) e quanto gravi sono? L’entità del problema è legata alle scuole in cui ha studiato lo studente o ad altre variabili? C’è una specificità geografica?

Può sembrare un po’ pedante porsi tutte queste domande, ma informazioni di questo genere non sono secondarie soprattutto se, come richiesto dai 600, è necessario mettere a punto degli interventi specifici.

I numeri sulle “lettere”

Anche se il dibattito pubblico innescato dalla pubblicazione si è concentrato principalmente sui problemi di scrittura, la lettera fa in realtà una critica a tutto tondo delle capacità linguistiche (“grammatica, sintassi, lessico”) degli studenti: quindi scrittura, lettura ed espressione orale. Esistono dei dati che descrivono la prestazione dei giovani italiani (e non solo) in questi tre ambiti?

Per quel che riguarda scrittura ed espressione orale purtroppo è difficile avere un quadro complessivo e che copra un arco temporale abbastanza esteso, dal momento che la ricerca in questo ambito è molto limitata. Quello su cui però esistono dati abbastanza ampi sono invece le capacità di comprensione del testo. “La valutazione oggettiva della produzione scritta si è rivelata così complicata che il tentativo fatto dall’IEA nel 1984-85 non è stato ripetuto”, spiega Angela Martini, consulente INVALSI. “Abbiamo però a disposizione, per quanto riguarda la comprensione del testo, diverse fonti di dati internazionali, per esempio le survey PISA, che riguardano i quindicenni, le PIRLS, che riguardano i ragazzi fra i 9 e i 10 anni, e le PIAAC, condotte sull’intero arco di vita”.

L’indagine sulla scrittura del 1984 aveva comunque evidenziato un problema abbastanza marcato degli studenti italiani. Purtroppo il fatto che non sia stata mai ripetuta la rende troppo estemporanea per aiutarci comprendere la natura del problema (e comunque stiamo parlando della scuola degli anni Ottanta del secolo scorso). Concentrandoci invece ai dati sulla lettura, come siamo messi? Il quadro è ovviamente complesso, e certamente meno definitivo di quello che appare spesso sulla stampa italiana. Per esempio i dati PIRLS sui ragazzi fra i 9 e i 10 anni non sono poi così catastrofici: sui 49 Paesi presi in esame ci piazziamo sedicesimi, con un punteggio di 541, contro un dato medio di 500 (il punteggio massimo, di 571, spetta a Hong Kong).

Non solo: fra il 2001 (data della prima valutazione) e il 2011 (data dell’ultima) non si osserva un declino nella prestazione (nel 2001 abbiamo ottenuto 541 punti e 551 nel 2006).

Come già detto questi dati riguardano i ragazzi di quarta elementare. Cosa succede più avanti nel corso della carriera scolastica? “I dati PISA mostrano effettivamente che ci poniamo sotto la media OCSE. Nel 2015 (ultima survey disponibile) l’Italia ha una media di 485 punti contro i 493 medi dei Paesi nell’area. Come per i PIRLS però dal 2001 al 2015 non vi è alcuna tendenza negativa nella prestazione media: il livello del 2015 è comparabile a quello del 2001 (487 punti) con qualche oscillazione, nel 2012 per esempio si è toccata quota 490″.

Il divario fra nord e sud

“La cosa forse più importante da esplicitare è che il dato medio italiano è poco significativo, poiché è il prodotto di due tendenze molto diverse fra loro. ll nord Italia è al di sopra della media OCSE mentre il sud è al di sotto sia della media italiana che di quella OCSE. La differenza è grandissima”, spiega Martini. “Si va dal Veneto con risultati pari a quelli dell’Olanda, alla Sicilia che si avvicina alla prestazione della Turchia, uno degli stati con i punteggi peggiori. Questo dato emerge anche nei risultati delle prove INVALSI, anche se in modo meno evidente”.

Nel dibattito stimolato dalla lettera purtroppo è mancata la consapevolezza di questa complessità. Da un lato la lettera stessa fa riferimento alla responsabilità della scuola primaria e media inferiore, chiedendo “modifiche” (che vere modifiche non sono, come vedremo in un prossimo articolo) alle indicazioni nazionali (i programmi) che privilegino l’acquisizione delle competenze di base. Dall’altro lato c’è chi come il filosofo Massimo Cacciari, fra i firmatari della lettera, ha puntato il dito contro lo “smantellamento della scuola” nel corso degli anni (e poi be’, si legge poco, internet, i social media, gli sms…).

“Premetto che credo che i professori abbiano intuito qualcosa di vero”, spiega Martini. “Secondo me il problema c’è. Ma non è solo italiano, e non dipende in modo così diretto dalla scuola elementare, o anche dalle medie, come sembra molti credano”.

È proprio il dato sulla distribuzione geografica del fenomeno che può aiutarci a capire meglio. “Nei PIRLS, che analizzano la prestazione dei bambini delle elementari e dove abbiamo le prestazioni migliori a livello internazionale, il divario nord-sud non si nota. È dalle medie in poi, come vediamo nei PISA, ma anche negli INVALSI, che si crea una differenza considerevole. Al sud i ragazzi vanno peggio”.

Eppure Italia del sud e del nord condividono la stessa “scuola” in via di principio, e gli stessi “programmi”, dunque non possono essere questi la base del problema. In questa sede non è possibile chiarire quale sia la causa all’origine del divario nord-sud (“servono studi approfonditi”, puntualizza Martini), si può però almeno ipotizzare che non sarà un cambiamento nelle indicazioni nazionali a modificare gli equilibri.

Anche i dati PIAAC (dall’adolescenza all’età avanzata) ci dicono cose interessanti. Per esempio, e questa è una tendenza internazionale, gli adolescenti sono quelli con le prestazioni di comprensione del testo migliori, mentre via via che si invecchia la prestazione peggiora. I giovani quindi vanno meglio dei vecchi. “È una cosa abbastanza intuitiva: finché si studia si è abituati a leggere e a mettersi alla prova, mentre quando si esce dalla scuola a meno di non coltivare da soli certi interessi si perde l’abitudine e la prestazione si deteriora”.

Ricordiamoci anche, spiega sempre Martini, che l’istruzione di massa è un fenomeno che nasce nel ventesimo secolo, e che ha i suoi problemi da risolvere. L’Italia ha gestito male il passaggio da una scuola d’élite a quella di massa e fa fatica a conciliare la necessità di garantire a tutti un livello accettabile di istruzione e allo stesso tempo dare strumenti a coloro che sono in grado di raggiungere l’eccellenza.

Come vediamo il quadro generale è molto complesso: è vero che gli italiani adolescenti leggono peggio dei coetanei finlandesi e di molti altri Paesi in area OCSE, ma alle elementari hanno buone prestazioni. Esiste un grande divario fra nord e sud, con il nord che si pone a un buon livello anche nel panorama internazionale. Questa differenza alle elementari è molto attutita, segno di una maggior omogeneità di prestazione di questo ciclo scolastico, che ottiene buoni piazzamenti anche se confrontato con altri Paesi. Per la scrittura sappiamo che nel 1984 i ragazzi andavano male, ma oggi non abbiamo dati certi (a parte la testimonianza dei professori). I dati sulla lettura dal 2000 a oggi inoltre mostrano una sostanziale stabilità nella prestazione nelle varie fasce d’età, indizio che non c’è una situazione che si va deteriorando.

In un prossimo articolo con l’aiuto di Maria Lo Duca, linguista dell’Università di Padova, andremo a  fondo sui problemi e le dinamiche del sistema scolastico italiano, e come vedremo anche qui le cose sono ben più complesse di quel che si è detto finora.

Leggi anche: Si torna a scuola: l’importanza di una sana dormita per il cervello

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Federica Sgorbissa
Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.