STRANIMONDI

Su Rama, la verosimiglianza viene prima dello spettacolo

Da anni Morgan Freeman e David Fincher sognano di adattare per il grande schermo Incontro con Rama, di Arthur C. Clarke.

STRANIMONDI – Dopo che Gravity, Interstellar e The Martian hanno lanciato l’uomo nello spazio per metterlo a confronto con l’universo e con sé stesso, gli alieni sembrano pronti per ritornare al centro dell’interesse della fantascienza cinematografica. Basta vedere il successo di Arrival, benché non abbia ottenuto neanche un Oscar fra quelli cui era candidato, e l’imminente uscita di due attesi blockbuster come Life e Alien – Covenant per rendersene conto.

In particolare, Arrival e Life si concentrano su un tema particolare, quello del primo contatto fra umani ed extraterrestri. Tema che è anche al centro di uno dei più noti classici della letteratura fantascientifica: Incontro con Rama, di Arthur C. Clarke, che da una quindicina di anni Morgan Freeman e David Fincher sognano di adattare per il grande schermo. Il progetto è rimasto impantanato nel cosiddetto development limbo ma, come ha confermato in un’intervista con Neil deGrasse Tyson, Freeman è determinato a farlo. Peccato che da quell’intervista siano passati cinque anni.

Una delusione per alcuni fan, un sospiro di sollievo per altri.

Per certi versi, Incontro con Rama è un romanzo che si potrebbe prestare a una trasposizione cinematografica. Ma la probabilità di deragliare dai temi e dai toni sviluppati da Clarke è molto alta, e questo sarebbe un peccato non per una questione di lesa maestà nei confronti del testo originale, ma perché si rischierebbe di perdere uno degli aspetti più interessanti ed efficaci del romanzo.

Ma di cosa parla Incontro con Rama?

Dopo la disastrosa caduta di un meteorite nel 2077, che ha devastato la Pianura Padana, nel 2130 l’umanità ha sviluppato la Guardia Spaziale, un progetto dedicato allo studio degli asteroidi. Nemmeno uno fra i tanti individuati sarebbe passato a meno di un milione di chilometri dalla Terra o dagli altri pianeti colonizzati del Sistema Solare. Ciò nonostante, l’oggetto celeste catalogato come 31/439 e avvistato nei pressi dell’orbita di Giove riesce comunque ad attirare l’attenzione degli scienziati, grazie a un’orbita insolita e a dimensioni tutt’altro che trascurabili. Le fotografie ottenute dalle sonde spaziali rivelano che l’oggetto, ribattezzato Rama perché “gli astronomi avevano da tempo dato fondo alla riserva della mitologia greco-romana, e adesso stavano saccheggiando il pantheon indù”, non è un asteroide, ma un cilindro perfetto, lungo più di 50 chilometri e completamente liscio.

Esplorare il misterioso oggetto diventa quindi una priorità e l’incarico viene affidato all’astronave più vicina a Rama, l’unica che può approcciarlo prima che la sua traiettoria lo allontani dal Sistema Solare: si tratta dell’Endeavour, capitanata dal comandante Bill Norton. Ha così inizio un’avventura di esplorazione e mistero, con l’equipaggio che si avventura all’interno della misteriosa astronave mentre un concilio di scienziati e i delegati dei Pianeti Uniti seguono le loro imprese dalla Luna, dove sono riuniti.

Benché il comandante Norton sia senza dubbio il perno narrativo intorno al quale ruotano gli altri personaggi, la perlustrazione di Rama viene raccontata per quello che è, e cioè un’impresa collettiva nella quale la collaborazione fra i singoli membri dell’equipaggio consente di sfruttare al meglio le loro competenze individuali. Sarà proprio grazie alle specializzazioni ed esperienze di alcuni di loro che verranno trovate soluzioni ad alcuni degli enigmi della misteriosa astronave. Il punto di vista del narratore spesso si allontana da Norton per seguire questi personaggi secondari, raccontandoci quel tanto che basta del loro background per introdurre quei tratti e quelle conoscenze che si riveleranno utili nell’esplorazione di Rama.

Una caratterizzazione superficiale ma che potrebbe funzionare in un film, che non avrebbe il tempo sufficiente per tratteggiare più a fondo i diversi membri dell’equipaggio. In questo senso, Clarke riesce a delinearli in maniera essenziale e funzionale, e non è difficile immaginarseli in un’ipotetica trasposizione cinematografica: l’appassionato di vecchi film, l’esperta di nautica, l’ambizioso pilota olimpico di aerobiciclette a bassa gravità, il riservato e coscienzioso cosmocristiano, e via dicendo.

Certo è che, a livello narrativo, risultano essere poco più che strumenti necessari a risolvere determinati snodi di trama. Il coinvolgimento emotivo è scarso e c’è poco spazio per sentimenti che non siano rivolti al mistero scientifico da svelare – sorpresa, meraviglia, timore. Anche quando si sofferma sulle due famiglie – cosa normale, nel 2130 – del comandante Norton o sul suo rapporto con il colonnello medico Laura Ernst, Clarke mantiene uno stile freddo, distaccato. I dialoghi servono soprattutto per far progredire la storia e dare nuove spiegazioni, ed è difficile appassionarsi ai sentimenti dei personaggi.

Dopo tutto, il cuore del racconto non sono certo loro, ma Rama e i suoi misteri. Che Clarke racconta con una straordinaria attenzione alla verosimiglianza scientifica, puntando sul massimo realismo possibile. Tanto che la maggior parte delle svolte della trama vengono innescate dall’intuizione di un possibile processo fisico, dalla soluzione scientifica di un problema o dalle interazioni – sempre spiegate in maniera logica ed esauriente – fra gli esploratori e l’ambiente ramano.

La grande abilità di Clarke sta nel riuscire a rendere avvincente una storia fatta per lo più di ragionamenti scientifici, deduzioni e spiegazioni, con uno stile asciutto e analitico, e senza far leva su emozioni che non siano curiosità o stupore. Lo scrittore britannico mantiene un buon equilibrio fra il dispensare informazioni e far procedere la storia, si inventa un paio di interessanti colpi di scena e riesce a trasformare nozioni scientifiche – come il tempo necessario per comunicare da un punto all’altro del Sistema Solare – in ottimi spunti di trama. Uno stile che può non piacere ma la cui efficacia nel raccontare una storia costruita sulla scienza non può essere negata.

E qui sta il grande punto di domanda riguardante un eventuale adattamento per il grande schermo. È possibile raccontare una storia del genere con un film?

Il rischio di un’eccessiva spettacolarizzazione, che dia più risalto ai pericoli, all’azione o alle tensioni personali a scapito degli aspetti scientifici, è dietro l’angolo, come ha dimostrato Arrival. Di contro, The Martian è la prova che è possibile raccontare, con le dovute libertà, un’avventura interamente costruita su spunti e questioni scientifiche.

Il compromesso fra spettacolo e verosimiglianza è da sempre una sfida per chiunque voglia raccontare una storia, che sia un romanzo, un fumetto, un film o un gioco. Clarke, a modo suo, è riuscito a vincere questa sfida. Se davvero qualcuno riuscirà a portare Incontro con Rama sul grande schermo, non ci resta che sperare che lo faccia rendendo giustizia alla ricchezza del romanzo, senza trasformarlo nell’ennesimo blockbuster hollywoodiano con il suo immancabile compendio di esplosioni, prevedibili one-liner, militari bidimensionali, struggimenti amorosi e colpi di scena forzati.

Sia chiaro, nulla di male nelle esplosioni hollywoodiane, che anche noi di Stranimondi apprezziamo molto. Ma Incontro con Rama è un’altra storia.

Leggi anche: Quel che poteva essere. The Man in the High Castle

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Michele Bellone
Sono un giornalista e mi occupo di comunicazione della scienza in diversi ambiti. I principali sono la dissemination di progetti europei, in collaborazione con Zadig, e il rapporto fra scienza e narrativa, argomento su cui tengo anche un corso al Master di comunicazione della scienza Franco Prattico della SISSA di Trieste. Ho scritto e scrivo per Focus, Micron, OggiScienza, Oxygen, Pagina 99, Pikaia, Le Scienze, Scienzainrete, La Stampa, Il Tascabile, Wired.it.