SCOPERTE

Mal di schiena: il segreto è nel DNA

individuata una particolare variante nel gene del recettore della vitamina D che potrebbe essere responsabile delle temute ernie del disco

“Anche se non è possibile modificare la propensione a sviluppare la patologia scritta nel DNA, è sicuramente utile esserne consapevoli e adottare uno stile di vita sano”. Crediti immagine: Pixabay

SCOPERTE – Il mal di schiena è un problema che riguarda 8 italiani su 10, molti dei quali soffrono di patologie del disco intervertebrale gravi e spesso invalidanti, come la famosa ernia del disco. Poco si sapeva circa l’origine di queste malattie, e quindi non molto era possibile fare per prevenirne l’insorgenza. Almeno fino a oggi. I ricercatori dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano hanno infatti individuato una particolare variante nel gene del recettore della vitamina D che, se presente, è associata al processo di degenerazione del disco intervertebrale, la struttura fibro-cartilaginea che fa da “ammortizzatore” tra una vertebra e l’altra.

Lo studio si associa a un progetto europeo, GENODISC, che ha coinvolto l’Istituto Galeazzi dal 2007 al 2013, e che ha permesso di studiare 2000 pazienti in tutta Europa, con patologie legate alla degenerazione del disco intervertebrale. “Analizzando il DNA di questi pazienti e confrontandolo con quello delle persone che non avevano sviluppato questo genere di patologie ci siamo resi conto che esisteva un’associazione fra la degenerazione discale e le varianti nel gene del recettore della vitamina D, un potente ormone che da studi di biologia di base ha dimostrato di avere effetti metabolici a livello delle cellule presenti nel disco intervertebrale” spiega Alessandra Colombini, che ha diretto lo studio. I ricercatori sono riusciti a individuare alcune varianti nel gene del recettore della vitamina D, ovvero dei polimorfismi, che predispongono la persona a sviluppare degenerazione del disco.

Si tratta di un risultato molto significativo anche perché questo nuovo fattore responsabile della degenerazione è indipendente rispetto ad altri fattori già noti di predisposizione, quali la storia familiare del paziente, l’età avanzata, il fumo, l’obesità, la frequente esposizione a vibrazioni e un’attività lavorativa che richieda un notevole sforzo fisico. È cosa nota infatti che le patologie del disco intervertebrale sono correlate con i più noti fattori di rischio per la salute, fra cui il fumo. “Il fumo rappresenta uno stimolo pro-infiammatorio cronico – precisa Colombini – e per questo può essere considerato un fattore di rischio per l’insorgenza di queste malattie. In qualche modo dunque, è possibile forse iniziare a parlare di prevenzione per questo tipo di problema. “Anche se non è possibile modificare la propensione a sviluppare la patologia scritta nel DNA, è sicuramente utile esserne consapevoli e adottare uno stile di vita sano, evitando di esporsi anche ai fattori di rischio ambientali, per ritardare l’insorgere del mal di schiena cronico e limitare gli effetti negativi sulla qualità della vita” continua Colombini.

Non è secondario inoltre il fatto che sia il primo studio condotto in Italia, dal momento che l’etnia è particolarmente importante per questo genere di ricerche che coinvolgono la genetica.

Tuttavia, l’argomento è ancora controverso. “Sebbene vi siano anche altri risultati simili al nostro condotti su altre etnie nel mondo – prosegue Colombini – non possiamo ancora dire di essere certi che questa variazione genetica che abbiamo individuato sia comune a tutti coloro che sviluppano patologie del disco intervertebrale. Noi abbiamo studiato delle sotto-coorti, ma in futuro si tratterà di ampliare la numerosità campionaria ed eseguire degli studi comparativi approfonditi. I nostri prossimi passi saranno nella direzione di proseguire la ricerca di base in vitro per studiare la risposta delle cellule del disco intervertebrale alla stimolazione con vitamina D a seconda del genotipo del paziente, cioè del polimorfismo che possiede. Ci piacerebbe in futuro riuscire a compiere una diagnosi sempre più precoce di queste malattie, che insieme a una maggiore prevenzione sui fattori di rischio, potrebbe migliorare la vita di chi soffre di questo fastidioso problema.”

@CristinaDaRold

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.