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Coleotteri d’alta quota per studiare il cambiamento climatico

Si è da poco conclusa una nuova spedizione del progetto SUMMITEX, che studia l'effetto del riscaldamento globale su Ande, Alpi e Pirenei. Grazie a preziosi e minuscoli bioindicatori: gli insetti

Il vulcano Cayambe e l’omonimo ghiacciaio, in Ecuador. Fotografia di Mauro Gobbi

AMBIENTE – Una spedizione di ricerca internazionale ad alta quota, per studiare i cambiamenti climatici in corso in tre dei grandi gruppi montuosi del pianeta, Alpi, Pirenei e Ande, e le conseguenze per biodiversità ed ecosistemi. I protagonisti? Sono i carabidi, una famiglia di coleotteri diffusa in tutto il mondo e utilissima come “specie sentinella” dello stato di salute degli ambienti. Il gran numero di specie e la loro numerosità li rende perfetti come bioindicatori, in grado di fornire dati sufficienti a sviluppare analisi statistiche e modelli di previsione solidi.

Tra gli scienziati che lavorano al progetto, chiamato SUMMITEX e coordinato da Pierre Moret del Centre National de la Recherche Scientifique francese, c’è anche l’entomologo italiano Mauro Gobbi del MUSE di Trento. Da 15 anni Gobbi studia gli insetti che vivono negli ambienti alpini ed è appena rientrato da una spedizione in Ecuador, dove insieme ai colleghi ha condotto le ricerche in un ambiente molto particolare: i ghiacciai dei vulcani, come il Chimborazo (6268 m) e l’Antisana (5704 m).

Molti insetti sono legati agli ambienti freddi e umidi ai margini dei ghiacciai, senza i quali rischiano l’estinzione come è successo sulle nostre Alpi, dove “specie che una ventina di anni fa erano molto comuni oggi sono introvabili”, spiega Gobbi a OggiScienza. In alta quota i coleotteri sono tra gli insetti dominatori, “trovi quasi soltanto loro. Ma se sulle Alpi c’è una tradizione di studi, dunque una base di dati dai quali partire, fare ricerca sulle Ande vuol dire lavorare in luoghi parzialmente inesplorati”.

Non sappiamo quali specie vivono in quegli ambienti e scoprirlo è il primo obiettivo. “Le scarse conoscenze sono il problema, ma anche il fascino, del lavoro in zone poco esplorate. Abbiamo sicuramente raccolto specie nuove, il che è positivo, ma allo stesso tempo non sappiamo nulla della loro ecologia, comportamento e distribuzione”.

Un’altra grossa differenza è che, rispetto alle Alpi, in Ecuador non c’è una vera stagionalità. Non ci sono inverno o estate ma una temperatura costante e poco variabile. “La possibilità di vedere neve è abbastanza remota, infatti il ritiro dei ghiacciai non è tanto legato alle precipitazioni quanto alla temperatura dell’oceano. Ma anche qui il rischio di estinzione è molto elevato e la situazione particolarmente drammatica, perché su ogni vulcano ci sono comunità di coleotteri diverse dagli altri”.

I coleotteri tra un vulcano e l’altro sono completamente diversi. Un endemismo che aggiunge un grande valore, ma anche un grande pericolo: se si estinguono le specie che abitano una di queste vette, saranno estinte per sempre. “Oltretutto non hanno ali come la maggior parte dei coleotteri che conosciamo, dunque si muovono solo camminando. Di fronte a un evento avverso non possono semplicemente andarsene via”.

Gli insetti non rientrano nelle specie “carismatiche”, il cui rischio di estinzione scatena facilmente l’interesse del grande pubblico. Ma la loro biodiversità non va trascurata. “Molti penseranno ‘cosa vuoi che sia la scomparsa di qualche insetto, l’estinzione di lama, rapaci oppure dell’orso andino sarebbe molto più grave’ ”, commenta Gobbi, ma “gli insetti rientrano in una catena alimentare complessa. I carabidi fanno parte della dieta di moltissimi anfibi, di micro-mammiferi e rettili. E in alta quota ci sono quasi solo loro”.

Preziosi indicatori

Gli insetti sono ottimi bioindicatori per monitorare il riscaldamento globale, i cui effetti sulla biodiversità sono ancora poco conosciuti; se grazie a fotografie e dati storici i cambiamenti dei ghiacciai sono sotto i nostri occhi, è molto più complicato capire come rispondono vegetali e animali e quantificarne il rischio.

“Bisogna selezionare dei gruppi in grado di darci informazioni chiare anche in tempi brevi e gli insetti hanno questa caratteristica. Reagiscono velocemente al cambiamento”, continua Gobbi. “Nel momento in cui un ghiacciaio si ritira, loro subito lo ‘rincorrono’. Ma una reazione veloce può essere anche l’estinzione e ci aspettiamo che accada sulle Ande. Un conto è inseguire un ghiacciaio che si ritira, un altro spostarsi semplicemente più in alto quando ormai il ghiacciaio non c’è più”.

In tutto il mondo sono pochi gli esperti che si occupano di biodiversità entomologica ad alta quota. “Per questo mi hanno contattato: per capire se era possibile applicare sulle Ande gli stessi metodi di studio usati sulle Alpi. Così ho pensato a un piano di campionamento per raccogliere gli insetti in alta quota, per capire come e dove sono distribuiti ma anche per stimarne la densità, in modo simile a come si fa con i vertebrati. Sapere se una specie c’è o non c’è è relativamente utile, poter osservare come una comunità cambia nel tempo serve molto di più”.

coleottero carabide dyscolus
Un coleottero carabide (Dyscolus sp) sul vulcano Antisana, Ecuador. Fotografia di Mauro Gobbi

Ghiacciai a rischio

Tutte le aree in cui si svolge il progetto sono più o meno coperte da ghiacciai, ma con glacialismi – l’azione di trasformazione dell’ambiente da parte dei ghiacciai stessi- diversi tra loro. Sia sulle Ande che sulle Alpi i ghiacciai resistono ma si stanno ritirando con un ritmo preoccupante, mentre sui Pirenei “sono già pochi e ci danno un’idea di quanto accadrà nel prossimo futuro anche sugli altri gruppi montuosi”, spiega Gobbi.

I cambiamenti climatici inducono modifiche negli habitat nel giro di tempi piuttosto brevi e non è detto che un insetto sia in grado di seguirli. “Sulle Alpi, ad esempio, ce ne sono alcuni che non fanno in tempo a colonizzare le aree in quota. C’è troppa strada da fare e la loro velocità di dispersione non basta”.

Per comprendere meglio gli ambienti andini, Gobbi ha studiato la velocità di ritiro dei ghiacciai. “Quando avanzano hanno un ‘effetto caterpillar’, mentre quando si ritirano lasciano dietro di sé le morene, forme di accumulo che ci danno informazioni sul loro spostamento. Abbiamo posizionato le trappole per gli insetti in corrispondenza di varie morene: una depositata 150 anni fa, una 100 anni fa e così via. In questo modo possiamo monitorare i tempi in cui gli insetti hanno colonizzato i diversi ambienti e studiare comunità di diverse età”.

Le trappole sono a oggi il modo più semplice ed efficace per fare questo tipo di monitoraggi, su insetti che vanno dai pochi millimetri al centimetro – ed è spesso difficile riconoscere senza un microscopio- . Consistono in bicchieri di plastica interrati, con all’interno due dita di una soluzione di aceto e sale che ha la doppia funzione di attirare gli insetti e conservarli. “Noi recuperiamo le trappole, identifichiamo gli insetti che contengono e possiamo stimare la popolazione”.

Sulle orme dei grandi esploratori

Se per biodiversità entomologica restano grandemente inesplorate, le Ande sono un ambiente molto famoso dal punto di vista alpinistico. Dal 1800 in poi moltissimi naturalisti e alpinisti le hanno visitate per compiere le prime scalate e “molti di loro erano appassionati di scienza”, racconta Gobbi, come Alexander von Humboldt e Edward Whymper. “I colleghi dell’Università di Tolosa hanno raccolto informazioni rispetto a questi viaggi e trovato non solo le corrispondenze epistolari che i naturalisti avevano con altri colleghi europei, ma anche la descrizione dei materiali che raccoglievano, come vegetali e insetti, con tanto di luogo di rinvenimento, quota e data”.

Gobbi e colleghi hanno ripercorso alcune delle ascensioni di questi naturalisti, a 150 anni di distanza e fermandosi negli stessi punti. Quegli appunti minuziosi hanno permesso di capire quanto è variato l’areale di distribuzione delle specie. “Sappiamo che insetti c’erano più di un secolo fa e confrontiamo quelle comunità con ciò che raccogliamo oggi. L’areale di alcune è diminuito drasticamente, il che ci conferma che sì sopravvivono, ma in un ambiente che, non va dimenticato, è a forma di cono. Più sali, più l’areale si restringe”.

E sembra questo il destino che si prospetta per i ghiacciai, quelli noti e più vicini a noi ma anche vette lontane. Dove ecosistemi peculiari e specie uniche rischiano di andare perduti prima ancora di essere scoperti.

@Eleonoraseeing

La spedizione è stata patrocinata dal Club Alpino Italiano (Sezione Val Comelico) e sostenuta dallo sponsor tecnico Calze G.M. Sport srl

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".