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Tracciata la mappa molecolare del cancro ovarico

Uno studio dello IEO individua le proteine che sono regolate in modo specifico nelle cellule tumorali, rendendo più vicina la prospettiva di nuovi farmaci efficaci.

“Di fatto per il tumore ovarico possediamo scarsi modelli sperimentali, cioè sistemi su cui possiamo lavorare che dovrebbero mimare l’azione del cancro”. Crediti immagine: Ed Uthman, Flickr

RICERCA – Il principale problema per la lotta contro il cancro ovarico è la sua estrema eterogeneità genetica, che lo rende un tipo di tumore non facile da bersagliare. Si tratta infatti di un tipo di cancro con una grande varietà di mutazioni a bassissima frequenza, cioè ognuna delle quali si presenta in poche donne, per cui difficilmente una cura risulta generalizzabile. Per questo, al momento, è uno dei tumori meno adatto a essere trattato con le cosiddette terapie a bersaglio, che invece funzionano meglio per tumori a bassa variabilità genetica come alcune forme di tumore al seno o al polmone. L’arma principale per il tumore ovarico rimane quindi la chirurgia, che prima viene effettuata meglio funziona.

La sfida per i ricercatori che si occupano di questo tumore è quella della medicina personalizzata, trattamenti cioè che riescano a rendere vulnerabili i diversi tumori ovarici da donna a donna. Per lavorare in questa direzione è necessario conoscere i vari “volti” che il cancro ovarico può assumere, sia a livello di genomica che di proteomica, cioè dipingendo il panorama di geni e proteine che mutano rendendo il cancro così eterogeneo.

In questo senso, uno studio condotto dallo IEO, l’Istituto Europeo di Oncologia, ha svelato per la prima volta il quadro molecolare completo del cancro ovarico, cioè tutte le proteine che sono regolate in modo specifico nelle cellule tumorali, rendendo più vicina la prospettiva di nuovi farmaci efficaci. Ma non solo: i ricercatori, oltre ad aver dipinto uno scenario completo di quali sono le proteine coinvolte, sono anche riusciti a tracciare un quadro dello stato di attività di queste proteine, quali cioè si attivano e quali no. Quella cioè che si definisce fosfoproteomica.
Lo studio, sostenuto da AIRC e Worldwide Cancer Research, è apparso sulla rivista Cell Reports.

Fondamentale, a livello metodologico, è stato aver comparato per la prima volta geni e proteine dei tessuti tumorali con quelli dei tessuti sani dai quali il cancro ovarico ha origine. “Di fatto per il tumore ovarico possediamo scarsi modelli sperimentali, cioè sistemi su cui possiamo lavorare che dovrebbero mimare l’azione del cancro” spiega a OggiScienza Ugo Cavallaro, Direttore dell’Unità di Ricerca in Oncologia Ginecologica dell’IEO. “Negli ultimi decenni abbiamo utilizzato linee cellulari derivate da tumori ovarici prelevati molto tempo fa, che sono poi state ‘coltivate’ per decenni. Il problema è che ci ritroviamo con colture risalenti anche a trent’anni fa, che cioè ci possono dire poco di come è davvero un tumore in vivo, dal momento che le cellule vanno incontro nel tempo a una spontanea modifica a livello genetico. La conseguenza è che noi oggi studiamo delle linee cellulari che non sono più quelle ‘originarie’ di quando il tumore è stato asportato, e ciò non è per noi un valido supporto.”

Cosa fare dunque? Il gruppo ha messo in piedi una banca di cellule primarie, isolate di recente da diversi tumori esportati chirurgicamente, e di cellule provenienti dai tessuti da cui il tumore origina, prelevate in pazienti a cui erano state esportate le tube o le ovaie per ragioni diverse dal cancro. Queste cellule sono state poi analizzate grazie alla collaborazione con il gruppo del Prof. Olsen a Copenhagen, attraverso tecniche di ultima generazione basate sulla spettrometria di massa, che prendono il nome di proteomica funzionale. “Per decenni si è pensato che il cancro avesse origine nell’epitelio ovarico di superficie, mentre ora sappiamo che questo avviene solo in alcuni casi – prosegue Cavallaro – mentre in altri origina nelle tube di Falloppio. Abbiamo comparato le due categorie di tessuti, malato e sano, anzitutto per capire a che livello si trovano le proteine mutate, e – cosa più importante – abbiamo potuto farlo accorpando le cellule di più pazienti, trovando cioè delle strade comuni a diversi cancri ovarici, che renderebbe più semplice il trattamento.”

Si tratta di ricerca di base certo, ma che rientra a pieno titolo in quella che viene definita medicina traslazionale, cioè una ricerca medica con fortissime applicazioni dirette nella pratica clinica. “Lo scopo finale di aver dipinto un quadro molecolare del tumore ovarico è quello di individuare in un prossimo futuro dei segnali che ci permettano di capire dove aggredire il tumore e come, attraverso farmaci mirati” conclude Cavallaro. “All’interno di questo panorama vasto ci sono sicuramente delle proteine bersagliabili, come CDK7, che abbiamo utilizzato come esempio nel nostro studio. Abbiamo scoperto infatti che bloccando l’attività enzimatica di CPK7 si blocca la proliferazione delle cellule tumorali, ma è solamente una prova. Si tratta di una ricerca ancora all’inizio, di una strada appena aperta.”

@CristinaDaRold

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.