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DNA ambientale per studiare le migrazioni dei pesci

Grazie al DNA ambientale, l'analisi di un litro d'acqua permette di monitorare la presenza di decine e decine di specie. Ma anche i loro spostamenti quando migrano lungo un corso d'acqua.

Gli scienziati al lavoro con i campioni di DNA ambientale raccolti nei fiumi newyorkesi. Fotografia di Mark Stoeckle

AMBIENTE – Qualche tempo fa abbiamo parlato delle straordinarie possibilità offerte dal DNA ambientale (eDNA), che permette per esempio di sfruttare i campioni idrici usati per le analisi chimiche come piccole librerie di biodiversità, utili per conoscere le specie che vivono in un determinato ecosistema. Il ragionamento alla base è molto semplice: ogni organismo lascia una traccia del suo passaggio e quella traccia può essere localizzata nel DNA ambientale.

I primi a dimostrarlo sono stati gli scienziati dell’Università di Zurigo, che nel 2016 hanno pubblicato i risultati su Nature Communication in un vero e proprio studio pioniere dell’eDNA

Ed è proprio in tale direzione che vanno gli studi scientifici: per la prima volta gli scienziati della Rockefeller University hanno mappato la presenza e le migrazioni dei pesci basandosi interamente su questo tipo di analisi. Test del DNA su campioni d’acqua nei quali si trovavano tutte le “impronte” lasciate dai pesci con i loro escrementi, le scaglie, il muco.

Mappare le migrazioni con l’eDNA

Per sei mesi nel 2016 i ricercatori hanno prelevato i loro campioni ogni settimana, dal fiume East e dal fiume Hudson di New York. Ogni campione ha rivelato la presenza – o l’assenza – di varie specie in un particolare momento, ma è dall’unione dei dati che è emerso il quadro più interessante. Un vero e proprio panorama dello spostamento dei pesci, che ha confermato con ricchezza di dettagli le informazioni già note e raccolte, negli scorsi anni, a suon di reti calate nell’acqua e di immensa fatica. Strategie di campionamento complicate e a volte impraticabili, soprattutto nei corsi d’acqua con forti correnti.

I punti a favore sono evidenti: si riducono i costi, i tempi e la fatica, e inoltre si evita di far male ai pesci, che continuano a nuotare indisturbati e ignari del fatto che da riva un gruppo di scienziati preleva litri d’acqua per sapere di più sulla loro ecologia. Il lavoro, pubblicato su PLOS ONE, va ad arricchire la lista di potenziali applicazioni per l’eDNA e promette di rivoluzionare il modo in cui i pesci e altri organismi marini vengono studiati e campionati per conoscerne distribuzione e abbondanza. Non solo nei fiumi ma potenzialmente nei laghi, nei mari e negli oceani.

La novità più importante è però l’elemento tempo. “Conducendo una serie di test nel corso del tempo e prelevando ogni settimana per sei mesi l’acqua di superficie dallo stesso punto, sia nel fiume East che nell’Hudson, abbiamo dimostrato con successo che c’è un nuovo modo per tenere traccia delle migrazioni dei pesci”, spiega in un comunicato Mark Stoeckle, a capo dello studio.

Il DNA, spiega lo scienziato, ha una durata che è perfetta per essere studiato con questo approccio. Se durasse troppo poco i campioni non sarebbero informativi, mentre persistendo troppo a lungo le informazioni al suo interno sarebbero troppe. E monitorare il passaggio delle specie non sarebbe possibile.

Nei due fiumi newyorkesi, Stoeckle e colleghi hanno trovato il DNA di 42 specie ittiche in proporzioni che rispecchiano le attuali conoscenze sull’abbondanza: l’81% apparteneva a specie comuni, il 23% ad altre più rare. Il fatto che i dati abbiano confermato quanto già si sapeva è rassicurante, perché significa che l’eDNA è davvero un “registro delle presenze” affidabile.

Sorprese gastronomiche e stime di abbondanza

Se l’abbondanza non è stata una sorpresa, una presenza in particolare invece ha colpito i ricercatori: gli scienziati hanno trovato il DNA di specie molto amate (in senso gastronomico) dai newyorkesi, come spigole, salmoni e tilapie. La loro ipotesi è che queste tracce siano arrivate ai fiumi attraverso le acque reflue, il che offre un’ulteriore possibilità per l’utilizzo del DNA ambientale: se il DNA di una specie a rischio arriva in un corso d’acqua dove questa non vive, è possibile che qualche ristorante in città la stia servendo illegalmente come raro manicaretto sottobanco.

Il procedimento è semplice: dopo la raccolta dei campioni si filtra l’acqua in modo da concentrare il DNA per l’estrazione, si amplifica il segmento d’interesse e lo si invia in laboratorio per il sequenziamento. Il risultato, un compendio di tutte le sequenze di DNA contenute nel litro d’acqua iniziale, viene elaborato da un software che conta le copie presenti per ogni sequenza e cerca le corrispondenze con i dati di riferimento.

Ma per un utilizzo davvero preciso dell’eDNA alcuni aspetti vanno chiariti, per esempio il significato delle letture (reads) ovvero il numero di copie di minuscoli segmenti di DNA di una determinata specie presenti in un campione. Pur essendoci una corrispondenza grezza con i dati raccolti in passato, non è chiaro se un read significhi che sono presenti uno o 10 pesci di quella specie. Altri interrogativi sono di natura ancor più pratica: quanto spesso le varie specie lasciano tracce di sé nell’acqua? Quanto muco rilascia un determinato pesce rispetto a un altro organismo acquatico?

I costi non sono eccessivi, ma in futuro potrebbero diventare decisamente più accessibili. “Il campionamento si può fare con l’attrezzatura e le tecniche standard di un laboratorio di biologia”, spiega Zachary Charlop-Powers, co-autore dello studio, in un comunicato. “Sfrutta gli stessi metodi che i ricercatori medici usano, per esempio, per analizzare il microbioma umano. Con le attuali tecnologie, il costo – manodopera esclusa – è di 50 dollari a campione, e i campioni si analizzano in gruppi di 20 o più. I futuri sviluppi nel sequenziamento del DNA potrebbero abbassare il costo”.

@Eleonoraseeing

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".