SCOPERTE

Prudenza, impazienza e pigrizia sono contagiose

Le nostre decisioni non si basano soltanto sulla nostra attitudine, più o meno pigra e impaziente, ma anche sulla tendenza a imitare il comportamento degli altri.

Quando dobbiamo decidere di arrivare in ritardo o di compiere uno sforzo tendiamo a imitare l’attitudine degli altri. Crediti immagine: Phalinn Ooi, Flickr

SCOPERTE – Su che cosa basiamo le nostre scelte quando ci troviamo davanti alla possibilità di affrontare un rischio, di arrivare in ritardo o di compiere uno sforzo? Sicuramente giocherà un ruolo chiave la nostra attitudine, più o meno prudente, impaziente o pigra. Il nostro carattere non è però l’unico elemento a influenzare la decisione, che è frutto anche di una predisposizione inconscia a imitare il temperamento degli altri. Una ricerca, condotta da Jean Daunizeau e Marie Devaine dell’INSERM di Parigi, mostra come le persone tendano, senza rendersene conto, a imitare l’attitudine degli altri di fronte a un rischio, un ritardo o un compito faticoso da affrontare.

Lo studio, pubblicato su PLOS Computational Biology, ha combinato modelli matematici e psicologia cognitiva per esplorare quelle che sono le caratteristiche su cui si fonda questo allineamento attitudinale.

I ricercatori hanno coinvolto 56 partecipanti (36 femmine e 20 maschi d’età media di 25 anni) a cui è stato chiesto di prendere una serie di decisioni che avrebbero comportato un ritardo, uno sforzo notevole o un rischio. L’esperimento è stato diviso in tre parti, ognuna composta da 40 quesiti. La prima parte poneva i partecipanti di fronte a due opzioni che differivano in termini di costo e ricompensa. Per esempio, “correresti il rischio di arrivare in ritardo a un appuntamento sapendo però che così facendo guadagneresti una certa somma di denaro?”.

Nella seconda fase dello studio, i ricercatori chiedevano ai volontari di indovinare quelle che erano state le scelte di altre persone. Si trattava di individui fittizi, dietro ai quali si celavano alcuni algoritmi che simulavano intelligenze artificiali regolate in base a diverse caratteristiche attitudinali. Terminata questa parte i partecipanti venivano sottoposti a un ultimo set di domande.

La terza fase era difatti la ripetizione dei quesiti posti all’inizio dell’esperimento. I risultati hanno mostrato come, nel fornire le loro risposte, i partecipanti venissero molto spesso manipolati dal cosiddetto effetto di falso consenso. I volontari, infatti, erano convinti, senza necessità di ulteriori prove, che l’attitudine degli altri fosse del tutto in linea con la propria. In aggiunta è stato osservato un netto pregiudizio di base regolato dai meccanismi d’influenza sociale. In altre parole, l’attitudine dei partecipanti tendeva a diventare simile a quella delle persone vicine.

Questa abilità nell’apprendere un comportamento pigro, impaziente o prudente e, addirittura, di prevederlo, poggia le sue basi su una sofisticata mentalizzazione: la capacità di considerare l’attitudine degli altri come il frutto di stati mentali simili ai propri e la facoltà di riconoscere l’esistenza di altri soggetti mentali. In questo caso, però, la mentalizzazione è legata a due pregiudizi che si alimentano a vicenda. Le simulazioni matematiche, infatti, dimostrano che i due pregiudizi compaiono quasi nello stesso momento e rappresentano un’ennesima conferma dell’interpretazione generale più comune di questi comportamenti. L’allineamento attitudinale è un automatismo scatenato dalla necessità di sentirsi conformi in società. Di conseguenza gli individui tendono a sovrastimare il grado di conformità della propria opinione con quella degli altri e manipolano inconsciamente le proprie scelte sulla base di quelle altrui.

Lo studio dei ricercatori francesi si inserisce nel dibattito sulle origini evoluzionistiche del cosiddetto comportamento imitativo, cioè la tendenza dei membri di un gruppo di uniformare i propri comportamenti. I primi studi suggerivano che il comportamento imitativo può avere luogo in animali o esseri umani coinvolti nello stesso compito senza la necessità di un’influenza dall’alto, che sia essa esercitata da parte di un capobranco o di un superiore. Altre ricerche hanno evidenziato la presenza di questa attitudine all’uniformità nei contesti più disparati: dalle reazioni a una situazione di panico in un determinato contesto alle intenzioni di voto di una comunità.

Il gruppo di ricerca coordinato da Jean Daunizeau e Marie Devaine è ora impegnato a indagare le differenze che potrebbero esserci in questi meccanismi comportamentali nelle persone affette da patologie neuropsichiatriche, come i disturbi dello spettro autistico o la schizofrenia.

@gianlucaliva

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Gianluca Liva
Giornalista scientifico freelance.