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Dieta gluten-free: nei non celiaci non riduce il rischio di patologie cardiache

I prodotti senza glutine vengono consumati da sempre più persone, con l'idea che siano più "sani" o dietetici. Ma in assenza di una diagnosi, sempre più studi mostrano che escludere il glutine non è consigliabile

Negli Stati Uniti meno dell’1% della popolazione ha una diagnosi di celiachia, ma circa il 25% dei consumatori ha mangiato cibo gluten-free nel 2015. Quasi il 70% in più rispetto al 2013. Crediti immagine: Pixabay

SALUTE – La celiachia ha una prevalenza dell’1% e, in Italia, le persone che hanno ricevuto una diagnosi sono triplicate tra il 2007 e il 2015. Nonostante sia l’intolleranza alimentare più diffusa, al riguardo c’è ancora molta confusione: i prodotti gluten-free sono adatti ai non celiaci? Se si sospetta una celiachia è una buona idea escludere il glutine dalla propria dieta prima degli accertamenti? Approfittiamo del mese dedicato alla sensibilità al glutine, e all’imminente Settimana nazionale della celiachia (13-22 maggio), per capirne di più.

Uno studio appena pubblicato sul British Medical Journal dà nuova forza a ciò che anche il Ministero della Salute ribadisce nei suoi rapporti a tema celiachia: ridurre l’apporto di glutine nella dieta, se non si è celiaci, è sconsigliato. Come spiegano Andrew Chan e i suoi co-autori, significa ridurre il consumo di grani integrali, che hanno un ruolo importante nella salute cardiovascolare.

Il glutine è una proteina complessa da digerire, più resistente di altre al taglio da parte degli enzimi. Nei celiaci provoca danni intestinali, infiammazione, ed è associata a un aumento del rischio di patologie coronariche. L’unica terapia possibile è una dieta gluten-free, che riduce tutti i sintomi e anche il rischio cardiovascolare.

Eppure sono molte le persone che considerano il glutine dannoso di per sé e che volontariamente lo escludono dalla propria dieta. Un’altra idea diffusa (senza fondamenti) è che faccia ingrassare e che di conseguenza i prodotti senza glutine siano automaticamente “dietetici”. Negli Stati Uniti meno dell’1% della popolazione ha una diagnosi di celiachia, ma circa il 25% dei consumatori ha mangiato cibo gluten-free nel 2015. Quasi il 70% in più rispetto al 2013.

Nonostante questo fenomeno sia evidentemente in aumento, molti non esitano a definirlo una moda, nessuno studio aveva ancora valutato se, sul lungo termine, la dieta senza glutine in un non-celiaco avesse conseguenze sulle patologie coronariche come ne ha in chi soffre di celiachia.

Così il gruppo di Chan ha analizzato un ampio database che, tra il 1986 e il 2010, ha raccolto a intervalli di quattro anni le abitudini alimentari di oltre 110.000 professionisti dell’ambito sanitario. Monitorando il consumo di glutine e lo sviluppo di malattie coronariche nel corso di 26 anni, non hanno trovato associazioni tra l’assunzione della proteina e la frequenza di coronaropatie. Al contrario: il consumo di glutine, ovvero di alimenti come grano e orzo che lo contengono, sembrava associato a un rischio ridotto di patologie a carico del cuore.

Nei non-celiaci c’è un’associazione tra il rischio di patologie coronariche e assunzione di glutine? No, concludono gli autori, e non bisognerebbe incoraggiare chi non è celiaco a consumare prodotti gluten-free privandosi dell’apporto nutrizionale di grano, orzo e segale.

Gli accertamenti che precedono la diagnosi comprendono analisi del sangue e biopsia della mucosa del duodeno. Ma se abbiamo già allontanato il glutine dalla dieta, eliminando tutti gli alimenti che lo contengono, individuare l’intolleranza diventa impossibile anche quando c’è. L’autodiagnosi, che bypassa la valutazione di un medico, è il primo nemico da sconfiggere quando si parla di celiachia.

Per un approfondimento sugli attuali filoni di ricerca legati alla celiachia, sui grani antichi e sulla diagnosi di celiachia e sensibilità al glutine vi rimandiamo a questo articolo.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: Combattere il grano con il grano

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".