IPAZIA

I ricercatori? Meglio maschi, bianchi ed eterosessuali

È quanto emerge da ASSET 2016, un report pubblicato lo scorso 5 aprile sull'uguaglianza di genere nel Regno Unito.

Essere donna e far parte di una minoranza etnica oppure essere donna e omosessuale (o entrambe le cose): sono queste le caratteristiche che penalizzano maggiormente chi lavora nel mondo accademico-scientifico. Crediti immagine: Knight Foundation, Flickr

IPAZIA – Maschio, bianco, eterosessuale. La categoria umana meno svantaggiata, oggi come ieri, è sempre la stessa. In tutti i settori, anche in quello scientifico. È quanto emerge da un’indagine sull’uguaglianza di genere in ambito STEMM (Science, Technology, Engineering, Mathematics and Medicine) nel Regno Unito. Lo studio, realizzato dall’organizzazione londinese ECU (Equality Challenge Unit), ha coinvolto 2495 uomini e 2374 donne che operano in 43 fra università e istituzioni scientifiche britanniche, a cui sono state rivolte domande su vari aspetti della loro vita lavorativa.

I risultati sono stati raccolti in un report di 184 pagine, intitolato ASSET 2016 (Athena Survey for Science, Engineering and Technology), pubblicato lo scorso 5 aprile. L’indagine è la prima a descrivere come la differenza di genere sia collegata, e spesso si sovrapponga, ad altre quattro caratteristiche: appartenenza a una minoranza etnica, orientamento sessuale, disabilità ed età. Agli intervistati è stato chiesto di esprimere un parere sulle modalità di reclutamento in ambito accademico, sulle dinamiche interne alla formazione universitaria, sulle possibilità di promozione e crescita personale e più in generale sul rapporto tra questi elementi e il gender gap. Le disuguaglianze rilevate, pur non essendo macroscopiche come un tempo, restano statisticamente rilevanti. Vediamone alcune.

Dalle risposte emerge come gli uomini siano coinvolti in attività di ricerca molto più delle loro colleghe donne. Tutti gli intervistati concordano nel ritenere il tempo impiegato nella ricerca scientifica come essenziale per la costruzione di una solida reputazione accademica e per aumentare le possibilità di fare carriera. Le donne operano maggiormente nell’insegnamento e nel settore amministrativo, attività che rivestono minor prestigio nel mondo accademico, a detrimento della loro crescita professionale. Significativamente, molti uomini non sembrano essere pienamente consapevoli del vantaggio di cui godono. Il 47,3% degli intervistati di sesso maschile, infatti, ritiene che il genere non influisca in alcun modo sulla facilità con cui si ottiene un avanzamento di carriera, opinione condivisa da appena il 23% delle donne.

Essere donna e far parte di una minoranza etnica oppure essere donna e omosessuale (o entrambe le cose): sono queste le caratteristiche che penalizzano maggiormente chi lavora nel mondo accademico-scientifico. Le donne di colore o appartenenti a minoranze etniche sono in assoluto quelle che hanno minori possibilità di raggiungere una posizione “senior” in ambito universitario, per esempio a capo di una facoltà o di un dipartimento: tra le intervistate, solo l’1,1% fa parte di questa categoria, a fronte del 3,1% delle donne bianche, del 6,6% degli uomini di colore e del 7% degli uomini bianchi. Non stupisce che proprio le donne appartenenti a minoranze etniche abbiano espresso i giudizi più negativi sul supporto ricevuto all’interno del loro ambiente lavorativo, sulla correttezza nell’assegnazione delle risorse e sull’impatto di genere ed etnia sulla carriera accademica.

Solo il 3% delle donne omosessuali intervistate riveste la carica di professore universitario, a fronte dell’8,8% degli uomini gay, del 9,1% delle donne eterosessuali e del 18,3% degli uomini eterosessuali (*). La percentuale di donne omosessuali che dichiarano di non essere state aiutate o addirittura di essere state ostacolate dal responsabile della loro formazione all’interno dell’università è molto più alto (14,2%) rispetto a quello delle donne eterosessuali (6,4%). Nel caso degli uomini, invece, i dati non differiscono in modo significativo.

Percentuali simili riguardano le persone con disabilità: le portatrici di handicap si sentono più discriminate rispetto alle donne non disabili, mentre questa differenza non si riscontra tra gli intervistati di sesso maschile. Un dato positivo e che lascia ben sperare per il futuro deriva dall’analisi delle risposte suddivise per fasce d’età: le donne fra i 31 e i 60 anni e dai 61 anni in su danno valutazioni molto più negative rispetto ai loro coetanei maschi riguardo equità, correttezza e trasparenza nel proprio ambiente di lavoro, ma questa differenza scompare fra gli intervistati sotto i 30 anni di età.

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Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

(*) Nota: la frase è stata modificata il 5 maggio 2017 perché la precedente versione poteva essere fraintesa

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.