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La fragile vita della savana africana

Il cambiamento climatico rischia di mettere in crisi l'ambiente della savana: temperature in crescita, una stagione secca più lunga ed eventi metereologici estremi più frequenti provocano dilavamento ed erosione del suolo.

Le grandi migrazioni di erbivori nel Serengeti potrebbero essere compromesse dagli effetti causati sull’ambiente della savana dal cambiamento climatico. Crediti immagine: Daniel Rosengren, Wikimedia Commons

SPECIALE MAGGIO – Nella savana africana si trova la più alta concentrazione di ungulati al mondo, un dato che non ha eguali in nessun altro tipo di habitat. Questa eccezionale biodiversità faunistica e l’alta densità di erbivori è direttamente connessa all’alta eterogeneità spaziale dell’ecosistema, che ha fatto sì che finora non esista una sola definizione di savana tra gli esperti. Coniato nel sedicesimo secolo, il termine savana è stato usato per descrivere habitat diversi tra loro, ma generalmente caratterizzati da un ambiente tropicale, dove sono presenti alberi e un tappeto erboso. Per fornire un’indicazione sintetica, alcuni autori chiariscono che la savana è un tipo di vegetazione tropicale in cui i processi ecologici come l’idrologia e il ciclo dei nutrienti sono fortemente influenzati dalle piante lignee e dalla vegetazione erbosa e, in misura minore, da altre forme vegetali.

In generale, è quindi difficile dare una definizione univoca di questo bioma. Nonostante essa copra metà del continente africano e circa un quinto delle superfici emerse, rimane pressoché innominata dai media e protagonista marginale del mondo accademico, che le dedica scarse risorse di ricerca soprattutto per quello che riguarda l’impatto del cambiamento climatico. “La savana è stata tra i primi luoghi  in cui hanno operato i grandi ecologi di campo, una delle zone più straordinarie del pianeta che ha sempre esercitato anche una forte attrazione turistica. Esistono molti studi che riguardano l’aspetto ecologico di questo bioma, e negli ultimi tempi hanno iniziato a crescere quelli sugli effetti prodotti dal cambiamento climatico”, spiega Gianfranco Bologna, direttore scientifico WWF Italia.

I paesaggi che si possono alternare nella savana sono molto diversi tra loro, soprattutto per quel che riguarda le proporzioni tra vegetazione erbosa, arbusti e alberi. Proporzioni che dipendono da cause di tipo ambientale e umano. Le tipologie climatiche in cui può svilupparsi questo bioma sono molteplici, ma il range di precipitazioni che li accomuna oscilla solitamente tra i 250 e i 2000 millimetri annui, posizionandosi su valori intermedi tra il deserto e le foreste umide.

La savana africana ospita uno dei fenomeni migratori naturali più straordinari al mondo, tra quelli connessi con il cambiamento climatico. Nell’Africa orientale, nella regione del Serengeti Mara, circa due milioni di erbivori si spostano alla ricerca della vegetazione giovane ricca di calcio. La grande migrazione è connessa al ciclo delle piogge e alla pressione che gli erbivori esercitano sui pascoli. Gli ungulati seguono le piogge, che si spostano gradualmente da Sud a Nord, in un viaggio lungo e pericoloso.

Questo ciclo naturale antichissimo rischia oggi di essere compromesso dal cambiamento climatico e dalla varie concause della pressione umana che aumentano l’effetto sinergico: negli ultimi anni, il clima è diventato sempre più caldo, la stagione secca dura più a lungo e gli eventi metereologici estremi – che sono sempre più frequenti – provocano dilavamento ed erosione del suolo.

“Come grande appassionato dell’Africa, durante i miei viaggi ho già avuto modo di osservare numerosi effetti del cambiamento climatico sull’ambiente. Alcune situazioni che si stanno evolvendo modificano a loro volta moltissimi elementi dell’ecologia e del comportamento delle specie che vivono sul territorio. La cosa che non bisogna dimenticare è che noi abbiamo a che fare con molti possibili effetti collaterali, di cui è difficile prevedere la portata”, continua Bologna.

Gli elementi da considerare – spiega Bologna – sono connessi anche al significativo aumento della popolazione, che nei Paesi dell’Africa orientale dal 1998 al 2008 è cresciuta del 74%  “Il fenomeno del cambiamento climatico è indotto dall’intervento umano e una  delle conseguenze registrate dagli ecologi di questa situazione è stata l’incremento della crescita delle zone alberate in un paesaggio come quello della savana, che tipicamente è più libero dalla copertura arborea. La maggiore presenza di alberi richiede un ulteriore supporto idrico in aree che già stanno soffrendo di periodi di siccità. L’ulteriore aumento delle aree alberate può condurre a difficoltà per alcuni animali come il ghepardo, specie già minacciata di estinzione che potrebbe avere problemi per la caccia; è il mammifero terrestre più veloce e necessita di aree poco alberate. L’intero sistema delle grandi migrazioni è messo in crisi: nel momento in cui vi è una maggiore copertura arborea in alcune aree, i grandi branchi tenderanno a rimanervi di più e a spostarsi di meno”.

Come ben spiegato dall’analisi  dei Planetary Boundaries, il cambiamento climatico è uno dei quattro “confini” che la pressione umana ha già fatto oltrepassare. Gli effetti  non sono prevedibili e hanno serie difficoltà ad essere gestiti dalle nostre società. “Si potrebbe arrivare a un punto critico, tanto che l’intero sistema ecologico potrebbe transitare verso un nuovo  regime (il cosidetto regime shift)”, continua Bologna. “Se il sistema riesce a mantenere le sue strutture, i suoi processi e le sue funzioni in una dimensione quanto più naturale possibile, la savana potrebbe essere resiliente e in grado di sopportare  le perturbazioni. Se l’ecosistema subisce sempre di più effetti devastanti, cresce la sua vulnerabilità e diminuisce la sua resilienza. Inoltre, dobbiamo considerare che le  popolazioni umane di queste zone vivono in una situazione molto difficile, con carenza di basi fondamentali per la propria esistenza. L’aumento della popolazione non coincide certo con un’adeguata disponibilità di risorse mentre il land grabbing e il water grabbing sono fenomeni che purtroppo si stanno diffondendo sempre di più. In queste aree gli effetti dei grandi  cambiamenti globali si uniscono ad altre sconvolgenti pressioni, come per esempio quella del bracconaggio (si pensi al commercio dell’avorio e dei corni dei rinoceronti), che ormai coinvolge anche i gruppi terroristici internazionali, come è abbondamente dimostrato dai rapporti del Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) realizzati in collaborazione con Interpol”, conclude Bologna.

Leggi anche: Il futuro della savana

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Sara Moraca
Dopo una prima laurea in comunicazione e una seconda in biologia, ho frequentato il Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste. Da oltre dieci anni mi occupo di scrittura: prima come autore per Treccani e De Agostini, ora come giornalista per testate come Wired, National Geographic, Oggi Scienza, La Stampa.