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Savana e dintorni: 4 specie a rischio ma lontane dai riflettori

Di fronte alla parola estinzione pensiamo subito alle specie bandiera come panda e tigri, ambasciatrici di un ambiente minacciato. Ma altre, che diamo quasi per scontate, se la passano altrettanto male.

Di fronte alla parola estinzione la maggior parte di noi pensa a una tigre, a un panda, a un rinoceronte o a un elefante. Ovvero alle “specie bandiera”, che grazie al loro carisma fanno da ambasciatrici e catturano l’interesse del pubblico verso la conservazione e la tutela dell’ambiente. Ma le specie in pericolo sono sempre di più e tante le diamo per scontate, ignorando che rischiano anche loro di scomparire. È il caso di molti abitanti della savana (e dintorni), non solo animali ma anche straordinari alberi.

Baobab di Grandidider (Adansonia grandidieri)

Non c’è viaggio in Africa dal quale non si torni con le foto dei baobab, imponenti, maestosi, enormi, che svettano su strade accidentate e aridi paesaggi, incorniciando il tramonto con i propri rami. Delle otto specie note che appartengono al genere Adansonia, sei sono endemiche del Madagascar: non si trovano che lì. La loro maestosità li ha resi i protagonisti di molte storie locali, una delle quali racconta che gli dei, invidiosi della loro bellezza, li abbiano capovolti lasciandoli con le radici al posto dei rami. Alberi a testa in giù. Ma A. grandidieri, la specie forse più nota e una delle tre che si trovano sul famosissimo viale dei Baobab (sulla Route Nationale 8, una strada di quasi 200 chilometri tra Morondava e Bekopaka nella parte Ovest del Madagascar) è in via di estinzione. In una proiezione fatta dagli scienziati sul periodo 1953-2116 la popolazione di questi alberi si sarà ridotta di almeno il 50% soprattutto a causa della deforestazione, della raccolta di semi e frutti e del bestiame che si nutre delle sue piantine. Ognuna delle quali è preziosa, visto che la rigenerazione di questa specie è molto lenta. Anche i suoi “giardinieri” non se la passano bene: a occuparsi dell’impollinazione sono i lemuri notturni (circa il 90% delle specie di lemuri è a rischio) ma anche il pipistrello paglierino della frutta del Madagascar e il rossetto del Madagascar, due chirotteri entrambi minacciati.

Fotografia di Bernard Gagnon, Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0

Licaone (Lycaon pictus)

Vederli scorrazzare in zoo e bioparchi, dove vivono in piccoli branchi, può aver tratto in inganno molti. Perché il licaone, anche noto come lupo dipinto o Cape hunting dog, è uno dei mammiferi africani che più rischia l’estinzione in natura. Soprattutto a causa della distruzione del suo habitat, della persecuzione da parte degli allevatori (per proteggere il bestiame) e del contagio con patologie infettive trasmesse dagli animali domestici. Questi grossi canidi, che pesano tra i 20 e i 30 chilogrammi, sono già scomparsi dalla maggior parte del loro areale storico e oggi ne sopravvivono circa 6 600, sparsi in 39 popolazioni. Secondo l’ultima valutazione dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, meno di 1500 tra questi sono individui maturi. Un tempo vivevano attraverso tutta l’Africa subsahariana, dai deserti fino alle montagne: oggi sono praticamente scomparsi da tutta la parte settentrionale e occidentale del continente.

Fotografia di Mosztics Attila, Wikimedia Commons, Pubblico dominio

Gru coronata grigia (Balearica regulorum)

Questi uccelli maestosi vivono nell’Africa orientale e meridionale, dal Congo all’Uganda fino al Kenya, Tanzania, Mozambico. Anche in Angola e Namibia sopravvive qualche piccola popolazione. Eppure in gran parte dell’areale storico la gru coronata grigia ha sofferto un declino molto rapido: nel corso di 19 anni, tra il 1985 e il 2004, il numero di individui è crollato della metà, passando da circa 100 000 gru a un numero che oscilla tra i 50 000 e i 64 000 esemplari. Anche per loro la minaccia più grande è la frammentazione dell’habitat, insieme all’utilizzo di pesticidi e al bracconaggio – per vendere gli uccelli sul mercato illegale come animali domestici – e al consumo umano delle uova come alimento o a scopi tradizionali. Mentre la loro casa subisce gli effetti della presenza umana, le gru si spingono sempre più vicine alle zone abitate, il che le rende ancora più vulnerabili alla caccia. La specie non è migratoria ma percorre enormi distanze “inseguendo” il cibo e le condizioni climatiche favorevoli, stabilendosi tra piane alluvionali, paludi e aperta savana.

Fotografia di Francis C. Franklin, Wikimedia Commons, CC-BY-SA-3.0

Zebra di Grevy (Equus grevyi)

Bianche a strisce nere o nere a strisce bianche? Tristemente, il giorno in cui non potremo chiedercelo più non è forse così lontano e una delle ragioni è proprio la bramosia per quel mantello così particolare. A causa del bracconaggio e della frammentazione dell’habitat, nel corso degli ultimi 30 anni le zebre di Grevy sono passate da una popolazione di quasi 6 000 animali a poco più di 2 500. Questa specie vive solamente nel Corno d’Africa, in Kenya ed Etiopia in particolare. Meno di 2000 sono individui maturi e, secondo la IUCN, la situazione generale della specie è al momento abbastanza stabile anche se il numero di zebre che vive in Etiopia è in declino. Tra gli sforzi di conservazione c’è una piccola popolazione reintrodotta che vive oggi vicino al parco nazionale di Tsavo, in Kenya.

Fotografia di Snake3yes, Wikimedia Commons, CC BY 2.0

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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".