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Un S.O.S. sulle spiagge: la sabbia scarseggia

La utilizziamo per produrre molti materiali e oggetti, dal vetro ai microchip, ed è fondamentale nell'industria delle costruzioni. L'aumento delle estrazioni incontrollate di sabbia rischia di mettere in crisi l'ambiente, con ricadute anche per l'economia.

La sabbia, molto richiesta nell’industria delle costruzioni, rischia di diventare una risorsa rara da proteggere. Crediti immagini: Public Domain

APPROFONDIMENTO – “Ci sono più stelle nello spazio che granelli di sabbia su tutte le spiagge della Terra messe insieme”. Carl Sagan scelse questa formula, usata per introdurre una puntata di Cosmos, andato in onda nel 1980, per descrivere l’enormità dei corpi celesti.
Per quanto quest’immagine sia particolarmente efficace, la prossima volta che ci troveremo in spiaggia potremmo iniziare a far fatica ad associare l’infinità dei granelli di sabbia con quella delle stelle. La sabbia, infatti, sta diventando in tutto il mondo una merce sempre più richiesta, e rischia di diventare una risorsa rara da proteggere. Se la sabbia scarseggia, ci sono nuovi preoccupanti problemi ambientali da affrontare, mentre nascono nuovi fenomeni di lucro attorno a una materia finora estranea ai traffici illeciti.

Un mondo di sabbia

Dalla geologia sappiamo che la sabbia altro non è che un mix di micro-frammenti di pietre staccate da rocce più grandi per effetto del vento, delle onde o degli agenti atmosferici in generale. Chimicamente parlando, quelli che chiamiamo granelli sono fatti principalmente di quarzo, una variante strutturale del biossido di silicio (SiO2).

La nostra specie ha iniziato presto a utilizzare la sabbia per produrre oggetti e tecnologia.
Ne facevano uso gli egizi, e come descrive Plinio il Vecchio nel Naturalis Historiae nel III millennio a.C. alcuni mercanti siriani riuscirono a ottenere un impasto molto simile al vetro accendendo un fuoco sulla sabbia. Durante il Rinascimento la sabbia, materia utilizzata per costruire le prime lenti, i telescopi e i microscopi, ha fatto un altro di quei salti tecnologici epocali che ne fanno oggi, dopo l’acqua, la risorsa naturale più consumata dagli esseri umani. Con materiali a base di sabbia oggi produciamo, oltre al vetro, anche i microchip e i pannelli solari. Si trova in parte anche nei cosmetici e nei detergenti, e viene utilizzata durante le operazioni di fracking.
La filiera industriale che necessita del maggior quantitativo di sabbia è tuttavia senza dubbio quella delle costruzioni. Per produrre cemento e asfalto ci vogliono quantità enormi di sabbia, e la domanda è in continuo aumento.

In base ai dati forniti dall’UNEP – il Programma ambientale delle Nazioni Unite – la sabbia costituisce, insieme alla ghiaia, l’85% di tutte le principali materie prime da estrazione, mentre il consumo annuo della sola sabbia a livello globale si aggira, per il settore delle costruzioni, attorno ai 30 miliardi di tonnellate. A queste quantità vanno aggiunte – secondo l’ultimo rapporto dell’US Geological Survey – circa 15 miliardi di tonnellate per le infrastrutture e l’industria in generale.

I centri urbani, intanto, sono in espansione, ed entro la fine del secolo saranno le città ad accogliere la gran parte della popolazione mondiale. Secondo le stime dell’ONU entro il 2030 alle attuali megalopoli, ovvero città con più di 10 milioni di abitanti come Shangai e Mumbai, se ne aggiungeranno almeno altre 10 nuove, superando quindi quota 40. Questo passaggio sarà accompagnato da un corrispondente consumo di risorse e di produzione di cemento.

Sempre secondo i dati dell’ONU, è la Cina il primo Paese produttore di cemento, e quindi il primo in classifica tra i mangia-sabbia, dopo India, Brasile, Stati Uniti e Turchia. Solo negli ultimi 20 anni, la Cina ha infatti aumentato la sua produzione di cemento di oltre il 400% a fronte del 60% degli altri Paesi industrializzati. La sola Shangai negli ultimi 15 anni ha costruito più grattacieli di quanti ne abbia New York.
Secondo uno studio condotto dall’Università di Harvard, dalle rive e dai fondali del Lago Poyang i costruttori di Shangai e di tutta la Cina attingono ogni anno 236 milioni metri cubi di sabbia, più delle prime tre grandi miniere di sabbia degli Stati Uniti.

Con questo livello di richiesta, insomma, la sabbia inizia a non sembrare più quella risorsa ambientale infinita di cui parlava Carl Sagan, ma anzi le fonti a cui attingere sabbia diventano sempre più scarse e si può già parlare di una vera e propria crisi della sabbia.

Una crisi non solo ambientale

Da dove arriva la sabbia da trasformare in cemento?
Non tutta la sabbia ha le caratteristiche chimico-fisiche adatte, e non tutti i siti sabbiosi, inoltre, sono adatti per l’industria: trasportare la sabbia annullerebbe tutti i vantaggi economici di un materiale abbondante e a buon mercato, ed è quindi necessario che la sabbia venga estratta e trasformata in cemento o asfalto – limitando l’analisi alle costruzioni – non lontano da dove verrà poi utilizzata.

Queste limitazioni restringono molto il campo, escludendo di fatto i deserti come riserve utili, nonostante siano i giacimenti naturali di sabbia più vasti e abbondanti. La sabbia desertica infatti non è adatta a farne cemento: essendo modellati dal vento, i grani del deserto hanno una struttura più liscia rispetto alla sabbia d’acqua e fanno fatica ad aggregarsi, e i siti di questo tipo sono tra i più scomodi per l’estrazione e il trasporto. In diversi Paesi, inoltre, sono in vigore precise norme che regolamentano le quantità e i luoghi da cui poter estrarre la sabbia, caricando di quest’impatto ambientale principalmente le aree sabbiose in prossimità di cave, i laghi e il corso dei fiumi.

L’estrazione di sabbia dal letto dei fiumi o dei laghi può causare un cambiamento innaturale nella morfologia stessa dei bacini acquiferi, troppo repentino per permettere ai corsi d’acqua di adeguarsi, facilitando così fenomeni sia di alluvione che di siccità, a seconda dell’impatto. Il Lago Vembanand in India, per esempio, ha subito una variazione del livello d’acqua tra i 7 e i 15 cm l’anno. Questi cambiamenti hanno conseguenze sull’approvvigionamento delle risorse idriche, a cui si aggiungono torbidità e variazioni anomale del pH. A soffrire per primi di questi shock sono le specie animali e vegetali, dove presenti, soprattutto sui fondali marini dove l’ecosistema dei viventi è devastato dalle correnti artificiali e dalla massa di particolato sollevato dagli scavi.

Questi non sono solo rischi stimati: esistono già diversi eventi catastrofici registrati in tal senso. Come segnalato di recente dal Guardian, l’estrazione fuori controllo di sabbia ha causato il crollo di ponti in Taiwan, in Portogallo  e in India.

Le alluvioni provocate dagli scavi lungo i fiumi hanno cancellato una rarissima specie di piante carnivore in Australia, e fanno temere gli agricoltori del Wisconsin e del Minnesota per la qualità dell’acqua. Lo stesso lago Poyang in Cina è stato manomesso negli argini di canali e nella profondità dei suoi bacini più bassi, come si può vedere da alcune immagini satellitari pubblicate dalla NASA.

L’evento ambientale più catastrofico è probabilmente quello subito dall’Indonesia, dove nel giro di dieci anni dal 2005 l’estrazione sui fondali oceanici ha letteralmente cancellato circa venti isole.

Da quando la sabbia è diventata un vero e proprio affare, insieme ai danni ambientali crescono però anche conflitti di altro tipo, che hanno spesso a che fare con una compravendita illecita di questa risorsa. Questo fenomeno riguarda, inevitabilmente, i Paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa e Asia.

In Marocco, per esempio, quasi la metà della sabbia utilizzata per il settore edile è estratta per vie illegali, ignorando totalmente le norme che vietano di scavare alla base di rocce arenarie, con il risultato di devastare le stesse spiagge nordafricane dove si vuole far crescere il turismo con la costruzione di nuovi hotel. In Malaysa ci sono stati gli scorsi anni decine di arresti di ufficiali accusati di corruzione per l’avvio di estrazione illegale di sabbia, e in India si parla di una vera e propria mafia della sabbia. Sulle pagine del Guardian viene fatto anche il conto delle vittime di una guerra che non risparmia vite umane, oltre all’ambiente: decine di persone uccise negli ultimi anni, tra operatori e criminali coinvolti nel traffico della sabbia e attivisti, tra cui un giornalista bruciato vivo.

Rafforzare le barriere legislative non sempre è servito ad arginare il problema,  come nel caso della contea di Makueni in Kenya, dove gli scontri continuano nonostante negli ultimi anni molte miniere di sabbia siano state bloccate, dichiarando illegale l’estrazione.

Fermare in tempi brevi la produzione di cemento è un’illusione. Ci sono allora alternative all’utilizzo di sabbia? Non c’è ancora all’orizzonte un’unica soluzione possibile, ma iniziare a sfruttare contemporaneamente materiali e strategie più sostenibili del cemento può contribuire a ridurre la domanda con un impatto significativo per l’ambiente, per esempio: riciclo di materiali da costruzione o di materiali a base di vetro per estrarne la silice, ricorrere a materiali più tradizionali come il legno dove possibile, o alla sabbia di cava.

Nel frattempo, si studiano formule per nuovi tipi di cemento, come quello messo a punto dai ricercatori dell’Università di Bath a base di particelle polimeriche, o come il bio-cemento auto-riparante ideato presso la Delft University of Technology che dovrebbe poter allungare i tempi di vita delle costruzioni. In questo senso, il materiale di riferimento più sostenibile è il cemento prodotto in antichità dai romani. I costruttori dell’antica Roma non conoscevano tutte le proprietà chimico-fisiche delle loro costruzioni, ma in qualche modo sapevano già quali materiali scegliere per fare un buon cemento pulito, a differenza del nostro cemento Portland, responsabile di buona parte delle emissioni dei gas serra. Finora, la prova dei secoli ha dato loro ragione.

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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.